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Cosa penso di Maurizio Crozza

Sono passati due venerdì da quando l’adorabile Crozza ha proclamato il nuovo trio governativo toscano: “Lo zar, la zarina, il lazzarone”, con quell’umorismo schietto ligure che ha come freccia mordente lo sguardo disincantato sulla realtà. Una delle funzioni principali della satira è quella di affrontare i problemi scomodi, presumendo che il pubblico abbia un cervello. E infatti il pubblico del venerdì di Crozza, sia in teatro sia a casa davanti alla televisione, respira aria fresca. E sicuramente, senza mai sfiorare il ridicolo o la querela, Crozza è uno degli ultimi uomini di spettacolo vero che liberamente, senza alcuna volgarità, rappresenta una dimensione della politica che in molti apprezzano e condividono. E però, nonostante gli audiens aumentino, c’è una soggezione di fondo che sconcerta: c’è un silenzio assordante di quella gran parte di italiani che nella campagna elettorale in corso non saranno sicuramente attratti dall’integralismo destrorso, né tantomeno dall’arroganza “dell’insalata russa” che ora governa l’Italia.

Dunque colui che salva il genere letterario che ritrae con intenti critici e morali personaggi e ambienti della realtà e dell’attualità, in toni che vanno dalla pacata ironia alla denuncia più acre, letteralmente parlando, il satiro moderno, colui che non ha ambizioni politiche né tantomeno, come ha sornionamente preannunciato un editoriale del Foglio di Claudio Cerasa, sarebbe stato indeciso se rimanere a La7 o transumare alla Rai con un miglior contratto offertogli per silenziare la crociata. Lui ha avuto il coraggio, che non è di molti, di rimanere lì dov’è e non perché Cairo, l’editore, gli ha offerto un ingaggio più conveniente ma perché è libero. E la libertà è impagabile.

Il suo popolo delle meraviglie lo ama per questo. La satira è sparita o sta sparendo perché nessuno l’ha difesa, neanche la nuova sinistra, che ora la teme. Il revisionismo era, ed è, già di casa, e mentre si tollera il cabaret, che per i meno lobotomizzati è il Maurizio nazionale, ci viene in mente che la satira intelligente è un’altra. Non quella trucida di Vauro e della Guzzanti, ma quella di Indro Montanelli, di Lelio Luttazzi, raffinate penne e oratori indimenticabili, che ad un certo punto sparirono dalla TV, censurandoli anche per i loro acuti e colti editoriali conditi di una satira elegante.

Occhi e voci e parole di una stagione politica in cui i comportamenti della classe politica di entrambi gli schieramenti erano attraversati da commenti e riflessioni che ci hanno spalancato gli occhi e la testa sulla realtà. Poi ognuno ha fatto e fa le scelte che vuole, ma mettere il silenziatore alla satira è pura follia.

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