Skip to main content

Famiglia bye bye. Note a margine dell’accordo italo-tedesco sulla formazione

Se uno chiedesse, ad esempio alla Ministra dell’Istruzione tedesca Johanna Wanka, come si fa a conciliare il mantenimento dello stesso livello di competitivtà di un paese con un perdurante calo delle nascite in atto in quello stesso paese, la risposta è presto detta: con gli immigrati. Lo schema è il seguente: riforma del lavoro uguale flessibilità, che significa precariato, che comporta meno famiglie, che implica meno figli, che si traduce in meno forza lavoro, che sarà supplita dagli immigrati i quali, costando meno dei tedeschi, garantiranno alla Germania di restare competitiva e macinare Pil. Ecco spiegato, come ha sottolienato la succitata ministra a margine di un accordo italo-tedesco sulla formazione professionale, perchè la Germania sta importanto milioni di immigrati. Manco a dirlo, la nostra ministra dell’Istruzione si è affrettata a rimarcare che questa è la strada maestra da seguire: “L’Italia deve prendere spunto dalla Germania e colmare la discrepanza che ci divide dai tedeschi” ha sentenziato Stefania Giannini. Il che implica, ha proseguito, che “Non ci sarà più spazio per la famiglia come la intendiamo oggi. La flessibilità induce le persone a spostarsi individualmente, il modello di famiglia a cui siamo abituati, che rappresenta stabilità e certezze, non esisterà più”. E ancora: “Dobbiamo abituarci all’idea di un mondo impostato su un modello di economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti“.
Le persone, in primis i genitori, si devono poter spostare individualmente e per questo il nucleo famigliare non avrà più la funzione di stabilità sociale che ha avuto per la mia generazione”.
Le vite degli italiani, le nostre vite, stanno andando incontro a enormi cambiamenti, figli della globalizzazione e delle riforme messe in atto per starle al passo. Vite più precarie lavorativamente e affettivamente, in cui il successo economico di un Paese, come nel caso tedesco, non si traduca in aumento della natalità o della stabilità individuale e sociale. Sarà sempre più difficile creare una propria famiglia stabile e prendersi cura dei propri figli”.
Parole, queste della Ministra Giannini, che se per un verso lasciano di stucco per altro sono perfettamente coerenti con la politica di distruzione della famiglia, e perciò stesso dell’idea stessa di persona e dell’antropologia crisitiana ad essa soggiacente, in atto ormai da decenni, ma che con l’attuale governo ha subito un’accelerazione senza pari. Dalla riforma del diritto di famiglia al divorzio “facile”; dal divorzio “breve” al ddl Cirinnà che ha introdotto nel nostro ordinamento il matrimonio omossesuale (perchè di questo di tratta), per non parlare delle varie iniziative gender oriented alcune delle quali aventi per oggetto proprio l’istruzione, in soli due anni il binomio matrimonio-famiglia su cui è stata edificata un’intera civiltà è stato letteralmente smantellato. Per giunta, da un governo guidato da un cattolico (chapeau). Ma tant’è. Non lo scopriamo certo ora il disegno, manovrato ad arte dai soliti burattinai, di soppiantare le radici giudaico-cristiane dell’Europa con un’ideologia tecnocratica e individualista che non ammette altro dio all’infuori di Mammona. Ovvio che, in tale contesto, avere a disposizione una gran quantità di mano d’opera e a basso costo sia quanto mai ben accetto da lorsignori. Che però stanno facendo i conti senza l’oste. Un oste che ha un nome ben preciso: Islam. Che presto o tardi, poterà a compimento quello che in epoca non sospetta aveva “profetato” un rappresentante musulmano durante un incontro ufficale sul dialogo islamo-cristiano “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle vostre leggi religiose vi domineremo”. E questo con buona pace di quanti, anche all’interno della chiesa, in nome di un cristianesimo frou-frou non vedono o fanno finta di non vedere la vera posta in gioco. Per tornare al punto da cui siamo partiti: siamo proprio sicuri che non ci sia altra strada da seguire che accuciolarci ai piedi di Usa e Germania? Possibile che nessuno si renda conto di come certe scelte politiche comportino conseguenze culturali ben più gravi di qualche punto di Pil in più? O ce lo siamo dimenticati (e il discorso vale anche per quegli ambienti eccesiali che sembrano più attenti alla salvezza dell’economia che non all’economia della salvezza) che non di solo pane vive l’uomo? Aveva ragione il grande T.S. Eliot: “se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare secoli di barbarie”. Ci siamo.


×

Iscriviti alla newsletter