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Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Virtù e vizi del fondo Atlante

Alessandro Penati

Nell’intento di superare la situazione di impasse che al presente connota una significativa parte del settore bancario, con ovvi riflessi sulla percezione del rischio Italia e sulla fiducia dei risparmiatori/investitori, è stata ipotizzata una soluzione, che potremmo definire di ‘primo intervento’; essa, infatti, pur venendo incontro nell’immediato al pressante bisogno di patrimonializzazione di molte banche italiane, di certo non può essere considerata esaustiva ai fini di un pieno recupero della stabilità finanziaria degli appartenenti all’ordinamento del credito.

Mi riferisco alla costituzione del Fondo Atalante – FIA con quote distribuite tra diverse tipologie di operatori di mercato (banche, assicurazioni, fondazioni bancarie, casse di previdenza) e Cassa Depositi e Prestiti – gestito da Quaestio Capital Management SGR e finalizzato alla ricapitalizzazione delle banche in crisi (per il 70% delle sue risorse), nonché all’acquisto di crediti non performing cartolarizzati (per il rimanente 30% ).

Tale progetto, accolto con favore dalla Banca d’Italia, che in esso ha ravvisato una «risposta alle turbolenze di mercato», ha avuto il pieno supporto dell‟autorità politica secondo cui «il fondo Atlante funzionerà come un backup, una rete di sicurezza, per le banche italiane», precisando altresì che «l’effetto leva… potrà arrivare ad almeno 50 miliardi».

A ciò si aggiungano l’autorizzazione concessa dalla Consob alla commercializzazione delle quote della Banca popolare di Vicenza (dando in concreto l‟avvio all’operatività del fondo), nonché l’implicito assenso alla partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti dato dalla Commissione europea – alla quale era stato sottoposto ai sensi dell’art. 107 TFUE, potendosi ravvisare nella fattispecie un sostegno, sia pure indiretto, del Governo -, tenendo fermo, peraltro, il veto in ordine ad una possibile contribuzione dell’EFSI al Fondo Atlante.

Sorprende l’enfasi, riscontrabile anche presso le autorità di vertice del nostro ordinamento finanziario, con cui è stato presentato il Fondo in parola, il quale – per quanto possa essere considerato portatore di stabilità all’interno del sistema creditizio – non può di certo essere considerato privo di fattori critici. Al riguardo, rileva in primo luogo il carattere necessitato che connota tale operazione predisposta per «l’aumento di capitale di Banca Popolare di Vicenza che, se inoptato, avrebbe potuto mettere in difficoltà anche Unicredit», come puntualmente è stato sottolineato da un autorevole studioso; operazione cui si accompagna un analogo intervento nei confronti di Veneto Banca. Viene in considerazione, poi, la possibilità di contenere la problematica dei cosiddetti non performing loans (NPLs), evitando che il relativo valore fosse ricondotto a livelli pari a quelli del «fallimento delle quattro banche regionali,…fissato a 17,5 centesimi per ogni euro di valore nominale, un prezzo che sembra eccessivamente basso»

È evidente come l’intento di sottrarre i nominati istituti al rischio di risoluzione (ipotizzabile in caso di mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte della compagine sociale) e la prospettiva di consentire «alle banche di vendere i propri crediti più dubbi a un prezzo superiore a quello attuale di mercato» siano prevalsi su valutazioni di altro genere.

Sotto altro profilo, non può trascurarsi di osservare che la ricapitalizzazione degli appartenenti all’ordinamento del credito attuata con gli interventi del Fondo si risolve (per la gran parte) in uno spostamento di mezzi finanziari da alcune banche ad altre. Viene lasciata, quindi, nella sostanza, pressoché invariata la consistenza patrimoniale complessiva del settore; ciò, con ovvi riflessi per quanto concerne l’applicazione dei criteri prudenziali in quanto – come correttamente è stato osservato – appare inverosimile che «la mera interposizione di un fondo consenta di non applicare le regole di Basilea sul calcolo delle partecipazioni bancarie e delle sofferenze ai fini patrimoniali».

A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione secondo cui l‟attuale intervento del Fondo Atlante potrebbe risolversi in una pericolosa bolla, destinata ad emergere in un arco temporale oggi difficilmente calcolabile, ma che verosimilmente potrebbe configurarsi causando instabilità nei mercati (il cui equilibrio potrebbe essere minato al di là dei positivi effetti che oggi sembra possano riscontrarsi). Non a caso l’agenzia di rating statunitense Moody’s ha evidenziato, nelle sue valutazioni su Atlante, il possibile impatto negativo sul «merito di credito» delle banche finanziatrici che acquisiscono partecipazioni al Fondo.

Sulla base di quanto precede si ritiene di poter condividere quanto puntualizzato da Mario Draghi con riguardo al Fondo Atlante, vale a dire «un piccolo passo nella giusta direzione». Tale pacato giudizio, nel riconoscere validità all’iniziativa in esame, non trascura i limiti che ne condizionano il successo. Per vero, come ampiamente è stato sottolineato nelle valutazioni della dottrina economica, tale Fondo può identificare una «soluzione efficace» ai fini del «problema della gestione dei crediti bancari ad alto rischio» solo ove vengano superati «almeno tre fattori: inefficienza delle regole italiane, aleatorietà delle regole europee, volatilità dei mercati finanziari».

È questa, una considerazione che riconduce alla realtà di mercato la possibilità di dar corso ad una piena ripresa nel nostro Paese, per la quale – in relazione alle modalità di finanziamento delle imprese e delle famiglie – viene ritenuto tuttora indispensabile il supporto di un «sistema bancario in buona salute». Da qui un monito che, al contempo, è una sfida, per vincere la quale anche l‟azione del Fondo Atlante potrebbe dare un contributo, di certo non risolutivo del malessere che attualmente connota l’ordinamento finanziario italiano, le cui cause risalgono a problematiche ormai stratificate nel tempo!

(Estratto di un’analisi di Francesco Capriglione, professore ordinario di Diritto dell’Economia, Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma, pubblicata sulla rivista Diritto Bancario)

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