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Il mio Longanesi

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Longanesi è come l’enigmistica. Vanta il più alto numero d’imitazioni -. Così, Francesco Merlo introduce il volume “Il mio Longanesi” di Pietrangelo Buttafuoco al Salone del Libro di Torino. Antologia colta, acuta, strapaesana, regolarmente irregolare curata dal – più longanesiano dei giornalisti italiani –. Così, Ferruccio De Bortoli, moderatore d’eccezione per un appuntamento d’eccezione: i 70 anni della casa editrice fondata da un artista poliedrico: giornalista, scrittore, illustratore, pittore e caricaturista. Una sorta di Walt Disney per adulti.

Se Buttafuoco è il più longanesiano dei giornalisti italiani, Francesco Merlo, da par suo, alcuni anni fa scrisse un libro che è certamente molto longanesiano: “Faq Italia”, Bompiani Editore. Dove, evidentemente, Faq è da intendersi nel senso dell’acronimo british di quando s’indica dove menar la via verso lo strapaese, appunto.
La presentazione diventa, così, un gioco pirotecnico, un rincorrere e un ricorrersi di pensieri che, se non sono la sintesi di biblioteche ingoiate, sono certamente il precipitato di uno sguardo anamopatologo su questo paese dominato dai vizi e complicato dalle virtù. E di cui, quasi, non si capisce più chi è l’autore. Chi stia citando chi.
In Italia sono tutti estremisti per prudenza; La Lega è figlia della creatività italiana. In Spagna hanno Almodovar, noi abbiamo l’altro Matteo. L’altro Matteo, già, il cui libro Saviano auspica sia esposto nelle librerie vicino al Mein Kampf. Saviano, già, che dovrebbe però ricordarsi di quando i librai “contigui” esponevano il suo Gomorra negli scaffali dedicati al Fantasy.
Agnelli non era lo Stato, infatti, era più dello Stato. Da Cavour ad Agnelli fu conflitto educato. Senza classe dirigente il conflitto è malato. Berlusconi non riesce a incarnare lo Stato, ma non sei interessante se non sei interessato. Del resto, metà acqua santa e metà acqua potabile è l’Italia, paese fondato sulla seduzione.
Ecco perché Leo, che l’aveva ben compreso, non aveva due ma tre occhi. Di cui uno in bocca. Così, Mino Maccari lo aveva, infatti, disegnato.
Rispetto al paese osservato da Longanesi 70 anni fa, quello di oggi non si è conservato bene. È come se si fossero dimenticati la porta del congelatore aperta, e tutto quello che vi stava dentro, è andato via via decomponendosi.
Allora, l’8 Settembre né Badoglio né gli altri ufficiali riconobbero ascoltando Radio Londra le note di Verdi. Solo ieri, i giovani preti accanto a Ratzinger, che annuncia le sue dimissioni in latino, apprendono delle sue dimissioni dai telegiornali.  Un paese dove non solo la mafia si fonda sulla famiglia. Dove ci sono trans, spietati e picchiatori, che fanno carriera nella camorra. Un paese in cui in Ospedale si rubano gli ovuli, mentre la ‘ndrangheta li usa per portarci la coca. Dove lo stesso giorno che il Sindaco di Londra da della nazista all’Europa, Beppe Grillo si chiede quando il Sindaco di Londra (lo stesso di prima) si farà saltare in aria.

Quell’Italia, perfino quella fascista che si sfasciò e si rovinò nella guerra, l’Italia di Longanesi, permetteva di allargare lo sguardo alla provincia, a tutto un complesso caleidoscopio di valori reazionari in cui, però, si scorgeva un po’ di commedia. Un’Italia in cui si poteva trovare un romanzo nel dettaglio dentro a un bar. E applicare, così, il dettato di Longanesi che stava, tutto, nel titolo della sua rubrica “Kodak”: quel che appare è. Che corrispondeva all’idea di spostare il punto di realtà fino all’estremo, fino a rasentare la falsità. Oggi no. È solo pornohorror.

Ecco, “Il mio Longanesi” di Buttafuoco – impreziosito dalla bellissima introduzione dell’autore – è un’antologia ricca di pezzi di Longanesi, scelti magistralmente, che si rivelano modernissimi e attualissimi. E che possono, certamente, evadere tantissime Faq. Riempire cioè quel cruciverba che stava giusto nella quarta di copertina del libro di Francesco Merlo di qualche anno fa.
E, chissà, essere quell’antidoto che ci faccia tornare a saper soprassedere; a essere un paese più da commedia. Come fu un tempo.

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