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L’Africa, l’Europa e l’Italia. L’intervento di Sergio Mattarella

Di Sergio Mattarella
SERGIO MATTARELLA

Signore e Signori Ministri, Commissari e Rappresentanti delle Nazioni Unite e delle Organizzazioni Internazionali,

Ambasciatrici e Ambasciatori,

Signore e Signori,

sono molto lieto di essere oggi con Voi per l’inaugurazione della prima Conferenza Italia-Africa.

La qualificata e numerosissima presenza a questa iniziativa costituisce riprova della positiva sensibilità con cui i Paesi del Continente, l’Unione Africana e il sistema delle Nazioni Unite, in tutte le sue articolazioni, hanno risposto all’invito dell’Italia. L’auspicio – tanto semplice quanto profondamente avvertito – è quello di poter realizzare fra di noi un dialogo ancora più forte e strutturato.

Di questa straordinaria opportunità dobbiamo essere grati in primo luogo a Voi, ma desidero anche dare atto al Ministro Gentiloni della autentica passione, messa in campo con i suoi collaboratori, per dar vita a questa preziosa occasione di confronto e comune riflessione. Il nostro obiettivo è quello di un rapporto più stretto e articolato tra il continente africano e l’Italia.

Non ci sfuggono la molteplicità e la complessità delle sfide che ne derivano. Siamo tuttavia certi che da questo incontro verrà una forte spinta in questa direzione. La congiuntura internazionale nella quale viviamo è da tempo mutata. Ancor più che in altre epoche della storia il processo di globalizzazione ha reso Africa ed Europa ancor più legate fra loro. Le crisi hanno alimentato la consapevolezza di come i destini dei due continenti siano ancor più interconnessi. Se la globalizzazione ha ridimensionato le distanze geografiche, le crisi hanno reso permeabili le frontiere.

Problemi e ricerca delle soluzioni sono diventati ambito necessariamente comune. Ciò non significa, naturalmente, negare le disomogeneità che esistono tra Africa ed Europa, così come all’interno dei due Continenti. Queste, tuttavia, non possono porre in secondo piano un’esigenza di fondo, ineludibile: le nostre rispettive agende politiche devono essere rese coerenti fra loro e il più possibile incisive.

Il mondo in cui viviamo è troppo interconnesso per consentirci di ignorare ciò che avviene a così poca distanza da noi, sia in termini di difficoltà sia in termini di opportunità. L’Africa non è e, in ogni caso, non può più essere comunque “altro” rispetto all’Europa. E viceversa. Quella visione è tramontata e relegata definitivamente al passato.

Cause comuni ci interpellano: anzitutto la causa della pace e del destino dell’umanità. La necessità di una lotta senza quartiere al terrorismo e a tutti i fondamentalismi. L’urgenza di spegnere i focolai di tensione politica. L’esigenza di sconfiggere piaghe – quali fame, carestie, malattie endemiche e mortalità infantile – la cui esistenza è ingiustificabile alla luce del livello di conoscenze che abbiamo acquisito.

L’intelligente governo di un fenomeno migratorio non transitorio ma epocale. L’esigenza di politiche economiche e sociali capaci di sostenere la crescita economica e l’occupazione. La lotta alla corruzione, che drena risorse importanti a scapito dello sviluppo. Sono queste – numerose – le sfide dell’oggi, sfide comuni con le quali confrontarci subito, perché domani sarebbe già tardi.

Nutro quindi grandi aspettative sulla comune riflessione che inizia qui, oggi. Essa costituisce per noi – come sempre accade quando si cercano risposte forti e coraggiose – un’opportunità unica per il ruolo che i nostri Paesi rivestono e per le conseguenze che le nostre azioni avranno per le future generazioni. Abbiamo il dovere di esplorare appieno lo straordinario potenziale di sviluppo delle relazioni tra Africa ed Europa e disponiamo già di tutti gli strumenti per sfruttare – insieme – le opportunità che abbiamo di fronte.

E’ una convinzione che è uscita rafforzata nel corso del mio recente viaggio in Africa – nella regione subsahariana – e presso l’Unione Africana. Ho colto, infatti, segni di grande interesse per un partenariato strategico, per la possibilità di affrontare insieme, su basi nuove, la realtà che abbiamo dinnanzi, abbandonando definitivamente visioni stereotipate e logiche obsolete. Ho potuto apprezzare, in particolare, la piena consapevolezza del ruolo che il Continente africano è pronto a svolgere nel mondo di oggi, nell’essere parte attiva e dinamica nella ricerca di soluzioni alle sfide globali.

L’Africa è sempre più protagonista della politica, dell’architettura della sicurezza e dell’economia internazionali, anche grazie al ruolo propulsivo svolto dalle Organizzazioni regionali e dall’Unione Africana. Mi auguro in particolare che essa – erede di quell’Organizzazione dell’Unità Africana della quale, tra pochi giorni, celebreremo il 53° anniversario – possa continuare a essere, insieme alle altre organizzazioni regionali del continente, un moltiplicatore di pace, sicurezza, prosperità e coesione sociale, nelle forme e nei modi più confacenti alla realtà nella quale opera.

Signore e Signori,
l’Italia è, per condizione geografica, storia e cultura, ponte tra Africa ed Europa.

Un ponte libero da pregiudizi, rispettoso delle peculiarità degli interlocutori e pronto a un confronto pragmatico e aperto.

Il nostro Paese, nelle sue diverse articolazioni, ha fatto di queste caratteristiche la cifra distintiva della sua politica nei confronti dei partners africani, e lo ha fatto con impegno, abnegazione e impiego di risorse.

Oltre che attraverso fondi pubblici e imprenditoria privata, lo ha fatto anche grazie alle tante Organizzazioni Non Governative che possono attingere energie umane e mezzi materiali dalla fitta rete del volontariato, che rappresenta una caratteristica importante dell’Italia e del suo popolo.

Sono certo che dai lavori di oggi – dedicati alle differenti declinazioni del concetto, oggi più che mai cruciale, di sostenibilità – emergerà con chiarezza la portata del contributo che l’Italia può e vuole dare nell’ambito del dialogo con i Vostri Paesi e con il continente africano nel suo complesso.

Istruzione, formazione, acquisizione e valorizzazione di competenze in favore della popolazione, a partire da quella femminile – il cui potenziale rimane ancora largamente inespresso – e dai giovani, costituiscono infatti obiettivi ai quali possiamo – e dobbiamo – lavorare insieme, nella comune ricerca di uno sviluppo sostenibile e inclusivo.

Credo che la sostenibilità verso la quale rivolgere prioritariamente lo sguardo – come l’esperienza dell’EXPO ci ha aiutato a fare – debba essere a tutto tondo: economica, certo, ma anche sociale e ambientale.

L’esigenza di conciliare la crescita con una distribuzione sostenibile delle risorse è giustamente al centro dei paradigmi di sviluppo elaborati dalle Nazioni Unite e dall’Unione Africana con le Agende “2030” e “2063”, e deve costituire la strada maestra verso la quale orientare i nostri sforzi, in Italia, in Europa, in Africa.

In tema di sostenibilità economica segnalo come meritevole di attenzione il buon risultato delle esperienze dei nostri distretti industriali, della piccola e media impresa italiana, delle nostre cooperative ma, soprattutto, la capacità caratteristica del nostro Sistema-Paese di integrare le nuove tecnologie con il fattore umano – motore e obiettivo di ogni processo di sviluppo – e con il rispetto dell’ambiente. E’ questa la chiave di volta di un percorso originale capace di concorrere a identificare con gli interessati le potenzialità di sviluppo sulle quali lavorare, fissando obiettivi realistici, concreti, verificabili.

Vuole essere questo anche uno degli obiettivi alla base della recente riforma della Cooperazione Italiana allo Sviluppo, verso l’approdo a un sistema che non si limiti alla tradizionale politica di aiuti.

In questo contesto, l’Italia è pronta a fare la propria parte, per costruire opportunità economiche e creare occupazione, con una speciale attenzione ai giovani e alle donne.

Un ruolo assai utile nell’ambito di questa visione integrata potrà essere svolto dal settore privato, opportunamente coinvolto in questi lavori, e da un suo rinnovato impegno per l’allineamento tra esigenze di profitto, opportunità di sviluppo anche sociale e sostenibilità ambientale.

Anche da questo approccio passano il miglioramento della sicurezza alimentare e della nutrizione, il potenziamento dei servizi sanitari e di quelli educativi di base, la protezione delle fasce più vulnerabili della popolazione, lo sviluppo di un sistema di microimprese.

Uno sguardo più lungo sulle prospettive non ci fa comunque distogliere l’attenzione dalle situazioni di emergenza, dal dovere di gestire le crisi legate al cambiamento climatico, dall’elevata vulnerabilità alimentare connessa alle carestie, dalle situazioni di conflitto e di instabilità.

Signore e Signori

le prospettive di crescita e di integrazione sulle quali mi sono soffermato non possono prescindere dalla ricerca di soluzione per un fenomeno, quello migratorio e dei rifugiati, alla cui rilevanza ho fatto riferimento poc’anzi, definendolo “epocale”.

Di fronte a un evento così gravido di conseguenze, non possiamo concentrarci su soluzioni di mero contenimento.

Abbiamo invece il dovere di proporre – e discutere insieme – approcci di natura globale, non soltanto legati all’urgenza, ma capaci di portarci a soluzioni durevoli.

Nessuno vorrebbe abbandonare la propria patria e i propri affetti, soprattutto quando ciò comporta l’incognita, spesso drammatica, di un viaggio pericoloso e l’approdo in una società lontana e diversa.

E’ dunque nostro compito lavorare insieme per far sì che venga meno la disperazione che spinge a mettersi in cammino; perché crescano benessere e stabilità, divenendo, essi, baluardi efficaci superando le grandi migrazioni.

Si tratta di un obiettivo condiviso da Africa e Italia, da Africa ed Europa e – consentitemi di ricordarlo – anche all’interno dello stesso continente africano.

Riuscire a mitigare il disagio, cercare di far sì che le popolazioni interessate da calamità e conflitti possano trovare provvisorio asilo in aree limitrofe, sono traguardi auspicabili.

Le migrazioni di massa rappresentano, per il continente africano, la più dolorosa spoliazione di futuro dei tempi contemporanei: milioni di persone in fuga impoveriscono le società civili africane e rappresentano il pedaggio più doloroso al disordine e alla sopraffazione e condizioneranno la stessa capacità di sviluppo.

Nonostante gli straordinari passi avanti compiuti nel corso degli anni sono oggi necessari sforzi ulteriori e decisivi per eliminare, alla base, le cause delle migrazioni di necessità.

Come è noto, l’Italia ha sostenuto costantemente l’esigenza di strategie lontane dalla logica semplicistica che vorrebbe rispondere al fenomeno attraverso l’erezione di muri e barriere.

Primo dovere è quello di salvare vite umane e di soccorrere chi si trova in condizioni di difficoltà e di sofferenza.

Non dobbiamo dimenticare neanche per un istante – e l’Italia non lo ha mai fatto – che alla base della nostra azione deve sempre essere posto anzitutto il principio della tutela della vita e della dignità di ogni essere umano.

Le migrazioni vanno affrontate con un approccio multidimensionale che va dalla gestione dell’emergenza, alla successiva eliminazione delle cause che portano tanta gente a partire, alla integrazione laddove necessario.

E’ in quest’ottica che l’Italia ha proposto all’Unione Europea un documento di discussione, il “Migration Compact”, che vuole affrontare insieme tutti i principali aspetti del fenomeno migratorio.

Siamo convinti che l’Europa abbia il dovere di concorrere allo sviluppo e alla stabilità dell’Africa, e che questo rappresenti una priorità per l’intera Unione europea. Il processo iniziato con la Conferenza di La Valletta va portato avanti con determinazione.

Perché è solo attraverso un rinnovato impegno in termini politici, economici e finanziari che si potrà contribuire a creare condizioni tali da ridurre stabilmente il flusso migratorio.

L’approccio richiede controparti – singoli Paesi e aggregazioni regionali – che mostrino un impegno della medesima intensità e condividano la stessa sollecitudine nei confronti di una situazione che sembra sfuggita di mano a tutti, Paesi di origine, di transito e di arrivo, ma che continua giornalmente a dividere affetti, spezzare vite, provocare dolore.

Il cammino verso la piena condivisione di questo approccio, l’unico che riteniamo adatto ad affrontare le sfide che abbiamo di fronte, è un cammino complesso, ma non intendiamo deviare da esso.

Un cammino fatto di impegni reciproci, di fiducia, di tappe da percorrere insieme.

Signore e Signori,

consentitemi, prima di dare l’avvio ai lavori di questa prima Conferenza Italia-Africa, di affidare alla Vostra attenzione un’ultima riflessione, anch’essa ispirata al valore della sostenibilità.

La sicurezza della vita propria e delle proprie comunità è messa a dura prova dalla minaccia incombente, insidiosa e trasversale, del fondamentalismo terrorista. Forze violente, minoritarie, prendono in ostaggio intere popolazioni.

La drammatica lettura dell’elenco delle città colpite dalla barbarie – nel quale compaiono Bamako e Bruxelles, Maiduguri e Parigi, Tunisi e Tolosa, Garissa e Ankara – non può che ricordarci come il terrore non conosca confini e come si nutra di divisione, paura e instabilità, all’ombra delle quali potersi diffondere.

L’impegno dei Paesi più esposti al pericolo fondamentalista, insieme all’Unione Africana e alle organizzazioni regionali, ha dato vita a un’intensificazione della collaborazione contro il terrorismo.

Così come il terrorismo non conosce confini, altrettanto deve saper essere convinta ed efficace la cooperazione fra i Paesi e le forze che si battono per il rispetto della dignità delle persone e per la loro libertà.

Confido che anche attraverso il fattivo contributo dell’Italia – determinata nel sostenere il rafforzamento delle capacità africane nel settore della sicurezza, per mezzo di iniziative bilaterali e multilaterali – possano essere esplorate nuove forme di collaborazione tra Africa, Europa e Nazioni Unite.

Il rafforzamento dei controlli e le azioni repressive che, in modo coordinato, le forze di sicurezza di ciascun Paese possono mettere in campo sono una parte, importante, della soluzione, ma non costituiscono, da soli, l’antidoto alla violenza fondamentalista.

Occorre combattere la “sub-cultura” alla base del fondamentalismo, lavorando sulle sue cause profonde, sulle tensioni conomiche e sociali, sullo scarso accesso alla formazione da parte dei giovani, sull’esclusione sociale della quale, ancora troppo spesso, le donne continuano ad essere vittime.

La coesione sociale e la certezza di un futuro, nel quale sia possibile condurre una vita dignitosa, sono il più efficace avversario del fondamentalismo terrorista, e questo convincimento deve guidare la nostra azione.

Occorre, in definitiva, investire nella causa della pace.

Signore e Signori,

è nella piena consapevolezza della necessità di affrontare sempre più “insieme” – Africa e Italia, Africa ed Europa –

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