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L’Egitto di Al-Sisi ha un nuovo incubo: lo zitellismo

Mentre si cerca di capire chi o cosa abbia abbattuto il volo EgyptAir MS804 tra Parigi e il Cairo, il National Security Council egiziano ha formalmente denunciato l’esistenza di un nuovo e ancora più allarmante pericolo per la sicurezza dello Stato: lo zitellismo.

In effetti, un problema c’è. Il numero delle zitelle egiziane è stimato in oltre otto milioni. Circa il 40 per cento della popolazione femminile in età da maritarsi è invece single, una quota in crescita. Il problema è molto discusso sulla stampa ed è stato oggetto di un comitato d’inchiesta parlamentare. È invece meno chiaro perché il fenomeno, anziché essere considerato una questione sociale o, al limite, economica, debba invece essere trattato alla stregua della minaccia terroristica. Il Colonnello Ashraf Gamal, un membro del Council, in un’intervista concessa al quotidiano Al-Monitoroffre un’interessante giustificazione: “C’è qui un fenomeno che è diventato una questione di sicurezza nazionale, in quanto costituisce una minaccia all’istituzione e alla stabilità della famiglia egiziana a causa degli effetti psicologici negativi che può avere. Impatta la sicurezza anche attraverso la proliferazione di crimini come lo stupro e le molestie […] e anche l’allargarsi dei furti da parte di chi cerca di trovare i soldi per pagare la dote necessaria per sposarsi”. Il militare aggiunge, ammiccante, che il nuovo National Security Council arrivato con la presidenza di Abd al-Fattah al-Sisi, “concepisce la sicurezza nazionale come una questione che vada oltre l’esercito, l’interno o il controllo delle frontiere […] Tutto quanto, sia le cose piccole sia quelle grandi, che tocchi la società egiziana è una questione di sicurezza”. Si tratterebbe, in altre parole, di una precisa — e ambiziosa — indicazione di come si sta evolvendo l’autocrazia egiziana. 

C’è anche una lettura al femminile della tendenza alla “ri-islamizzazione” della Turchia, portata avanti dalla presidenza dell’autocrate Recep Tayyip Erdoğan, da molti turchi considerata la rivincita del vasto e provinciale altopiano dell’Anatolia sull’occidentalizzata “gente di città”. Ne è spia l’imbarazzante successo nel Paese dell’emergente “Modest Fashion” tra una popolazione di donne disposte forse ad accettare la necessità di portare hijab, niqab e abaya — il tremendo armamentario degli abiti tradizionali proposti dall’Islam mediorientale — ma non al costo di andare in giro vestite come un letto sfatto. Le creazioni della nuova corrente stilistica — che deve molto anche agli “eccessi” modaioli degli Emirati, particolarmente Duba i— rispettano alla lettera i precetti islamici riguardo alla modestia femminile, ma lo fanno con drappeggi seducenti e finissimi ornamenti tradizionali in una sciccheggiante rilettura moderna che inevitabilmente richiama più il serraglio che non la moschea. La recente Modest Fashion Week di Istanbul, coronata da una passerella trendy alla stazione ferroviaria di Haydarpaşa, avrebbe attirato circa diecimila partecipanti. Uno degli organizzatori, Özlem Şahincommenta trionfante che: “La Turchia è il più grande mercato per il Modest Fashion del Mondo!”. La tendenza però fa venire la schiuma alla bocca dei conservatori turchi che “tecnicamente” non avrebbero di che protestare — le parti da coprire sono tutte ampiamente coperte — ma si sentono beffati. Volevano le donne non solo caste, ma brutte. Eppure riescono a essere belle lo stesso. Che rabbia…

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