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Ecco luci e ombre dell’export tedesco

Molte luci, ma anche tante ombre, nei risultati commerciali della Germania verso l’estero. Nel primo trimestre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2015, il saldo delle partite correnti della Germania è infatti migliorato di ulteriori 7,5 miliardi di euro: l’incremento è del 12,9%. Ci sarebbe da sobbalzare, se non fosse che l’attivo strutturale della bilancia dei pagamenti tedesca si ripropone stavolta in un contesto inconsueto. In generale, infatti, lo scenario prevede che la Germania avrà quest’anno un saldo attivo delle partite correnti pari all’8,4% del pil, giungendo così ad accumulare un complesso di attivi che a partire dal 2006 è arrivato al 61% del pil.

In concreto, però, l’ampliamento del saldo estero a marzo è coinciso con un contestuale calo della produzione industriale. Il paradosso sta nella tendenza al disallineamento tra rapporti con l’estero e crescita interna: mentre tra febbraio e marzo di quest’anno il saldo commerciale tedesco con l’estero è passato da 20 a 26 miliardi di euro, nello stesso periodo la produzione industriale cadeva dell’1,3%, un risultato di gran lunga peggiore rispetto alla previsione di una flessione contenuta allo 0,2%. Tutto è stato sopito da un comunicato secondo cui, considerando gli investimenti compresi quelli nel settore dell’edilizia, la produzione complessiva è comunque cresciuta dell’1,8% rispetto al trimestre precedente.

C’è un secondo aspetto da considerare: gli squilibri tra i singoli comparti dei rapporti della Germania con l’estero paiono accentuarsi. Rispetto al citato miglioramento complessivo di 7,5 miliardi di euro del saldo corrente, la componente merci ha contribuito per 5,3 miliardi, seguita dai 3,6 miliardi della componente redditi, mentre la componente servizi è peggiorata, di 1,4 miliardi, passando da -4,7 miliardi a -6,1. Le variazioni indicano che, mentre l’industria tedesca continua a macinare record, il settore dei servizi tende a peggiorare mentre la componente redditi mostra una forte contributo dei redditi primari (+19,6 miliardi) dovuta ai proventi degli investimenti all’estero, ampiamente bilanciato da quelli secondari (-13,5 miliardi), con un saldo positivo assai esiguo.

Quanto ai rapporti con l’Eurozona, si registra una particolare debolezza dell’import tedesco, cresciuto dal primo trimestre del 2015 solo dell’1%, mentre le esportazioni sono cresciute del +1,4%. Siamo arrivati ad una sorta di equilibrio, visto che l’export è arrivato a 110 miliardi di euro, rispetto ad un import di 106,1 miliardi. I ritmi sono omeopatici, dunque, se confrontati all’export tedesco verso gli altri Paesi europei non aderenti all’euro (+4,8%) ed al parallelo incremento dell’import da questi (+4,8%). Il peso delle relazioni della Germania verso l’eurozona, nonostante sia ancora doppio rispetto a quelli dei Paesi non aderenti (110 miliardi rispetto a 67), tende a ridursi.

Anche l’export tedesco risente della debolezza dell’economia mondiale: nei confronti dei Paesi Terzi rispetto alla Ue è diminuito del 2,1%, mentre l’import è calato del 3,2%. Il rallentamento della Cina e delle economie emergenti, la debolezza economica della Russia a seguito del calo del prezzo del petrolio e dell’embargo, hanno inciso parecchio. Gli Usa non fanno eccezione: nei primi tre mesi dell’anno, il saldo della componente merci verso la Germania è sceso a 15,5 miliardi di dollari, rispetto ai 16,6 miliardi dei primi tre mesi del 2015.

Sono dati che occorrerà approfondire appena saranno disponibili ulteriori dettagli, e continuare ad analizzare nel tempo, perché si prestano a riflessioni non estemporanee: per un verso, sembra che l’economia tedesca sia trainata sempre di più dall’export, e soprattutto dalla componente mercantile di questo, mentre il settore dei servizi peggiora le performance. C’è poi un peso molto elevato della componente redditi primari, che deriva dagli investimenti fatti all’estero, fortemente bilanciata da un passivo di quelli secondari. Le relazioni verso l’Eurozona sono ormai da anni in una fase di stanca, mentre si accrescono quelle con i Paesi non aderenti all’euro, verosimilmente quelli orientali: vale il principio consueto della espansione per contiguità territoriale. E’ fiacco l’export verso i Paesi Terzi, ivi compreso quello verso gli Usa. Il tutto, in un contesto di bassa crescita: dall’1,6% del 2014 siamo scesi all’1,45% di quest’anno, per scivolare secondo il Fmi al +1,2% del 2021. Ancora fuochi d’artificio, ma per una festa che sembra volgere al termine.

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