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Che cosa combinerà il governo sulle pensioni?

Di Michele Poerio e Carlo Sizia

Terza e ultima puntata dell’intervento di Michele Poerio e Carlo Sizia. La prima e seconda puntata si possono leggere rispettivamente qui e qui.

Sulla “solidarietà”, già concretamente espressa ed esercitata dai titolari di pensioni medio-alte, occorre ricordare:

– che le pensioni di importo più elevato subiscono un maggior prelievo fiscale (progressività dell’aliquota) in contemporanea con una minore percentuale di indicizzazione (già in via ordinaria) in rapporto al crescere dell’importo della pensione stessa. Inoltre, anche in sede di computo delle pensioni retributive (oggi praticamente tutte le pensioni in godimento sono di tale tipo) intervengono misure di calmierazione dell’importo della futura pensione: riduzione della percentuale di rendimento pensionistico annuo (da 1,60% a 0,90%) al crescere della retribuzione oltre il tetto INPS di retribuzione pensionabile; introduzione delle medie retributive degli ultimi 10 anni di attività per non “premiare troppo” le carriere finali, solitamente più ricche; limitazione del calcolo ai 40 anni contributivi, anche di fronte a vite contributive di più lunga durata, ecc.

– Quindi il meccanismo “solidaristico”, nelle pensioni di maggiore importo, è già presente ab initio, al momento della loro definizione mediante decreto dell’Ente gestore;

– che nel periodo 1992 – 2018 (25-26 anni) si è intervenuti legislativamente in termini penalizzanti sulla indicizzazione delle pensioni oltre un certo importo (solitamente oltre le 5, 6, 8 volte il minimo INPS, e sempre su quelle oltre le 8 volte) per il 52% degli anni del periodo, nonché per il 66,67% degli ultimi 12 anni (periodo 2007-2018);

– considerato che la mancata perequazione della pensione, anche per un solo anno, riverbera i suoi effetti negativi su tutta la restante vita del pensionato, facendo mancare alla “base” per i successivi incrementi l’importo mancato per la ridotta o assente indicizzazione dell’anno o degli anni penalizzati, negli ultimi 10 anni (periodo 2007-2016) il potere d’acquisto delle pensioni oltre una certa soglia (segnatamente oltre le 8 volte il minimo INPS) ha perso non meno del 15% del proprio valore (tenuto anche conto del prelievo fiscale accresciuto nel corrispondente periodo in ragione delle addizionali regionali e comunali).

Occorre altresì ricordare che:

– i redditi da pensione non hanno condizioni fiscali più favorevoli rispetto agli altri redditi.

– la perdita del potere d’acquisto delle pensioni oltre una certa soglia, negli ultimi 25 anni, supera certamente il 30-35%, senza considerare il contributo di solidarietà, vero e proprio esproprio, già dichiarato incostituzionale dalla Corte (sentenza 116/2013);

– per l’effetto paradosso determinato dal “gioco” delle fasce d’importo pensionistico indicizzate, rispetto a quelle penalizzate, si realizza il fatto che chi ha svolto un lavoro più qualificato e di responsabilità, ha avuto maggiore retribuzione e contribuzione, può trovarsi a godere di una pensione di importo minore;

– che è giunto il momento che anche la Corte costituzionale riconosca che le ripetute de-indicizzazioni, come i contributi di solidarietà, al di là del nomen juris loro attribuito, equivalgono di fatto a prestazioni patrimoniali di natura sostanzialmente tributaria in quanto: doverose e coatte, non connesse ad un rapporto sinallagmatico tra le Parti, collegate esclusivamente alla pubblica spesa (vincoli di bilancio, riduzione spesa previdenziale, ecc.). Ma del nostro sistema tributario le norme in questione non rispettano né il criterio della universalità, né quello della progressività, contravvenendo così ai principi dell’art. 53 della nostra Carta.

A proposito delle sentenze della Corte costituzionale, occorre rilevare:

– che solo quelle a conferma del volere e degli indirizzi del Parlamento e dell’Esecutivo vengono doverosamente rispettate ed attuate;

– che, invece, non sono bastati (al duo Monti-Fornero) i moniti rivolti ai legislatori con la sentenza 316/2010 affinché non si bloccasse, per l’avvenire, la rivalutazione delle pensioni, anche di maggiore consistenza, per prevenire l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, c. 25, del d.l. 201/2011, convertito nella legge Fornero 214/2011 (che ha bloccato, per il biennio 2012 e 2013, la rivalutazione delle pensioni oltre 3 volte il minimo INPS);

– che, parimenti, non è bastata la sentenza 70/2015 per impedire che il Governo Renzi disattendesse il giudicato costituzionale anzidetto con il d.l. 65/2015, convertito in legge 109/2015;

– che, infine, non è bastata la sentenza 116/2013, che ha sancito l’illegittimità costituzionale del contributo di solidarietà sulle pensioni di maggiore importo, introdotto nel 2011 dal duo Berlusconi-Tremonti, dal dissuadere il Governo Letta dal reintrodurre, con la legge 147/2013, analogo contributo di solidarietà per il triennio 2014-2016, inasprendo addirittura il prelievo.

Tuttavia anche all’interno della Consulta serpeggiano tentazioni di eccessiva compiacenza nei confronti del Palazzo, così da far temere la trasformazione di un Organismo di garanzia in strumento ancillare e complice del Potere.

Depongono male, in tal senso, alcune affermazioni (contenute in una recente “Nota”) del neo-giudice costituzionale, prof. Giulio Prosperetti che, nel criticare la sentenza 70/2015 della Consulta:

– ritiene inevitabile che il diritto alla pensione diventi sempre più “diritto finanziariamente condizionato”;

– loda “l’intento virtuoso del legislatore” (attraverso il blocco della indicizzazione ed i contributi di solidarietà) di “provocare un graduale abbassamento delle pensioni”;

– ritiene possibile individuare un livello della pensione che, per la sua entità e “sufficienza”, sia escluso dal principio costituzionale del periodico “adeguamento” (art. 38 Cost.);

– banalizza i diritti acquisiti in materia previdenziale e sottovaluta il necessario rapporto proporzionale tra retribuzione goduta e pensione maturata (intesa quale retribuzione differita), cardini dell’art. 36 della Costituzione;

– termina la sua “Nota” con questa affermazione, tanto impegnativa quanto rivelatrice “Le Corti supreme hanno in tutti gli ordinamenti una riconosciuta funzione politica giacché l’analisi di un testo legislativo deve essere condotta in un virtuoso bilanciamento tra l’analisi tecnica e la visione prospettica riferita ad istituti giuridici che debbono adeguarsi ai mutamenti della realtà sociale”.

Speriamo tuttavia che la posizione del Giudice Giulio Prosperetti non risulti maggioritaria in Consulta quando si tratterà, prossimamente, di decidere sulla legittimità del contributo di solidarietà riproposto dal Governo Letta, ovvero sulla legittimità del d.l. 65/2015 del Governo Renzi, che ha sostanzialmente ripreso le norme della legge Fornero in materia di mancata indicizzazione delle pensioni, già censurate con la sentenza 70/2015. In tal senso attendiamo con fiducia.

Chi invece non merita più la nostra fiducia è il Presidente Matteo Renzi, colpevole a nostro giudizio di troppi falsi annunci, promesse non mantenute, riforme solo di facciata, millanterie, regalie e partigianerie.

Mentre la rottamazione del “vecchio” e del “corrotto” che c’è in Italia sta in cassetto chiusa a chiave, populismo e demagogia volano alti.

Pertanto non voteremo (e così mi auguro facciano i pensionati calpestati, e tutto il pubblico impiego, che attende da 7 anni il rinnovo dei contratti scaduti) nei prossimi appuntamenti elettorali (di qualsivoglia tipo) né per Renzi, né per il suo Partito, né per i Partiti della maggioranza di Governo, in parte transfughi dal Centrodestra.

Come si diceva per l’AIDS (se la conosci, la eviti) è meglio prevenire il danno, che curarlo, poi.

(3/Fine)

Michele Poerio, presidente FEDER.S.P.eV.

Carlo Sizia, comitato direttivo FEDER.S.P.eV.



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