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Misure fiscali a favore della ricerca industriale. Si può fare di più

Di Renato Ugo

L’analisi di Renato Ugo tratta dall’ultimo numero della rivista Formiche

Il 2016 è iniziato con l’attuazione di alcune auspicate misure fiscali a favore della ricerca industriale definite nella Legge di stabilità 2015, in cui purtroppo sono mancate alcune semplificazioni, oltre che necessarie integrazioni finanziarie, auspicate dal mondo della ricerca industriale. Queste avrebbero reso più fruibile e ancora più incisivo il nuovo strumento del credito d’imposta, ben formulato in quanto esteso attualmente per un periodo di cinque anni a tutte le imprese con sede in Italia, indipendentemente dalla loro forma giuridica, dal settore economico e dal regime contrattuale e contabile. Si configura, quindi, come una misura fiscale di carattere generale senza il difetto di un’erogazione a rubinetto, origine nel 2006 del famigerato click day.

Però questa misura non è stata riferita all’intero volume delle spese e dei costi aziendali per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, a differenza per esempio della Francia. Solo l’incremento delle spese e dei costi rispetto alla media del periodo 2012-2014 potrà usufruirne. Inoltre, è stata suddivisa in due tipologie di costi e spese. Una, con detrazione del 50%, riferita solo ai costi del personale qualificato e ad alcune spese extra muros (contratti con università, enti di ricerca pubblici e privati). L’altra, con beneficio ridotto al 25%, riferita a quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzo di strumenti e attrezzature di laboratorio. Quindi la misura potrebbe risultare meno incisiva escludendo i costi dei laureati triennali e dei tecnici dedicati alle attività di ricerca, oltre che gli ammortamenti degli investimenti per impianti pilota e prototipi, necessari per la conferma del potenziale commerciale dei risultati di laboratorio.

Limitazioni, queste, che potrebbero riflettere l’esigenza del ministero dell’Economia e delle Finanze di attutire il minor gettito fiscale, ma che di fatto rendono meno rilevante l’impatto sullo sviluppo tecnologico del Paese e meno lineare la fruizione della misura stessa. Inoltre sono state introdotte anche limitazioni interpretative nella relazione illustrativa del decreto per cui fra i beneficiari non potrebbero essere incluse aziende con residenza in Italia che conducono su commissione attività di ricerca per altre aziende dello stesso gruppo industriale sia italiano sia multinazionale, poiché queste attività rientrerebbero tra quelle intra muros, espressamente escluse.

Un’interpretazione in contrasto con l’articolo 3 del decreto Mef-Mise del 27 maggio 2015 che non riporta alcuna discriminazione di questo tipo. Queste limitazioni forse sono nate per impedire eventuali elusioni fiscali, ma appaiono pretestuose poiché il rindebito di attività di ricerca effettuate su commissione, tramite regolari contratti, è facilmente controllabile dal fisco. Limitazioni che non considerano che oggi la ricerca industriale richiede sempre più di operare in outsourcing, coinvolgendo le migliori competenze. Punire processi virtuosi di ottimizzazione delle competenze scientifiche e tecnologiche fra le aziende di uno stesso gruppo significa penalizzare quelle che sono fra le migliori realtà della ricerca industriale italiana, spesso in settori di alta tecnologia, e in particolare le attività di importanti insediamenti dedicati alla ricerca e allo sviluppo tecnologico di gruppi multinazionali con presenze societarie in Italia. Eppure il nostro Paese ha una stringente esigenza sia di espandere le attività di ricerca di gruppi nazionali senza penalizzazioni di sorta in termini di struttura societaria,  sia di essere attrattivo per i nuovi insediamenti dedicati alla ricerca di gruppi multinazionali, che negli ultimi tempi cominciano ad aumentare. È quindi urgente l’abolizione di queste interpretazioni restrittive.

Per ciò che riguarda i gruppi industriali italiani, il Mise con l’Agenzia delle entrate sta cercando la soluzione, ma nel caso dei gruppi multinazionali è necessario l’intervento del Parlamento. È un peccato che una così importante e utile innovazione fiscale debba essere subito rivisitata. Nel prossimo futuro sarebbe auspicabile inoltre introdurre un credito d’imposta pari almeno al 10% del volume totale dei costi, anche se limitati a quelli extra muros – come previsto in una delle prime stesure, non andate a buon fine, della Legge di stabilità 2016 –, e provvedere all’abolizione della bizantina suddivisione in due tipologie di costi e spese, sostituendola con una sola tipologia, però più ampia e più flessibile, pari al 25% delle spese e dei costi incrementali.

Anche una disponibilità finanziaria aggiuntiva di almeno 200 milioni di euro annui e l’estensione a 10 milioni di euro del limite del credito fruibile da una singola azienda renderebbero la misura più vicina a quella attuata nei Paesi più industrializzati. Infatti, per ottenere un significativo effetto sula crescita della ricerca industriale e per sostenere lo sviluppo tecnologico del Paese occorrono sia più semplicità e chiarezza sia una più significativa disponibilità finanziaria, anche se quanto si sta già avviando nel 2016 rappresenta una importante e positiva indicazione politica nei riguardi della ricerca industriale e dello sviluppo tecnologico delle aziende.

Renato Ugo (Presidente dell’Associazione italiana per la ricerca industriale – Airi)

 

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