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Perché nessuno parla degli scricchiolii delle banche tedesche?

Deutsche Bank

Sulla regolamentazione bancaria europea è bagarre. Per quanto ci riguarda, sono in ballo settori chiave dell’economia, imprese e patrimoni, intere Regioni. Dopo il sistema della grande industria di Stato, sbaraccato a seguito della crisi valutaria e politica del ’92-93, ora si smantella quello bancario: la crisi del 2012-13, a vent’anni di distanza, sottende il medesimo conflitto geo-economico tra Germania ed Italia. Nella crisi della Prima Repubblica, quando ancora la Germania era alle prese i problemi della riunificazione, il Nord-est era già la preda: allora da conquistare, oggi da annichilire.

OBIETTIVI ED EFFETTI DEL BAIL IN

Come è accaduto con il Fiscal Compact, anche stavolta si utilizza uno strumento demolitivo, il bail-in. “Se una società industriale fallisce i primi a perderci sono gli azionisti, poi i creditori e così di seguito. Si è deciso che lo stesso deve valere anche per le banche. Dobbiamo arrivare a un sistema in cui l’economia di mercato prevale anche per loro”, così ha argomentato in un’intervista ad inizio settimana la Presidente del Consiglio unico di risoluzione, Elke König. La regola è quella ben condivisibile, secondo cui “chi sbaglia paga”. Ma non tiene conto degli eventi sistemici, delle asimmetrie informative, e soprattutto della forzatura compiuta mettendo in un unico calderone gli azionisti delle banche, gli obbligazionisti ed i depositanti oltre i 100 mila euro: non essendoci eccezioni di sorta, ad esempio per gli enti pubblici ovvero per i conti societari, ogni minima preoccupazione sui conti di una banca porta al ritiro di depositi in massa. Ed alla catastrofe in Borsa: nessun privato partecipa ad un aumento di capitale in queste condizioni. Le mani forti, speculative, hanno invece davanti immense praterie.

CHE COSA HA DETTO VISCO

Più che evitare comportamenti opportunistici del management bancario, si possono alimentare fenomeni di destabilizzazione sistemica. Ed, infatti, come ha sottolineato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nell’ambito dell’intervento svolto giovedì scorso all’Istituto universitario europeo, “se fallisce un supermercato, lo chiudi e un altro apre. Se fallisce una banca, è molto improbabile che ne apra un’altra, è più probabile che quella accanto cominci ad avere problemi”. La normativa europea, che cerca di conciliare due obiettivi confliggenti, stabilità sistemica e responsabilità dei singoli, ha forzato la mano su quest’ultimo aspetto, creando i presupposti per una instabilità che non dipende dal verificarsi di azzardi morali, frodi ed abusi.

PERCHE’ SI SCAPPA DALL’EUROPA

Non è casuale, infatti, che le quotazioni delle banche europee siano bruscamente peggiorate a mano a mano che i mercati hanno preso consapevolezza delle penalizzazioni che il bail-in comporta per gli investitori: in molti casi, sono andate alle stelle le quotazioni dei Cds mentre crollavano quelle delle obbligazioni subordinate, tanto da costringere qualche banca a ricomprarsele di corsa. E non si è tenuto conto, come ha osservato di recente Franco Bassanini, che la normativa europea, escludendo  interventi pubblici per salvare le banche dal fallimento (salvo i limitati e incerti margini di flessibilità recentemente prospettati da Stefano Micossi), porta gli investitori verso i mercati extraeuropei. A parità di efficienza nell’attività di vigilanza, si rende inutilmente più difficile la ricapitalizzazione ed il funding. E soprattutto molto più instabile la raccolta, come le recenti vicende bancarie italiane dimostrano.

IL SUBBUGLIO SULLE SOFFERENZE

Se, dunque, come ha sottolineato la Presidente Elke König, “una delle migliori precauzioni contro l’effetto domino è che, se il tuo vicino è nei guai, la gente capisca che chi abita nella stessa strada non ha necessariamente gli stessi problemi”, dobbiamo constatare che dopo due anni di supervisione europea, c’è ancora scarsa fiducia sulla effettiva solidità del sistema bancario. In questo senso, il Governatore della Banca d’Italia ha rimarcato la persistente preoccupazione del mercato per la qualità degli asset bancari europei, considerando innanzitutto l’elevato ammontare di Npl riferiti ad impieghi di livello 2/3, per i quali il fair value è determinato dalle banche stesse, sulla base di modelli interni di valutazione.

LE DIFFERENZE TRA ITALIA E GERMANIA

Le banche italiane, a differenza di quelle tedesche, hanno pochi attivi di questo genere, e quindi le loro sofferenze sono chiaramente misurabili: a dicembre 2015, gli Npl ammontavano a circa 200 miliardi di euro, pari al 18% degli impieghi. A fronte, c’è un elevato livello di garanzie, di cui quelle immobiliari valgono approssimativamente 160 miliardi. Le sofferenze, intese in termini di crediti nei confronti di creditori insolventi hanno un valore corrente, al netto delle svalutazioni già effettuate, di 87 miliardi euro, pienamente coperto da collaterali immobiliari per 85 miliardi e da garanzie personali per 37 miliardi. Questi dati, che chiariscono per l’ennesima volta la situazione delle garanzie esistenti a fronte delle sofferenze bancarie in Italia, riportano al centro la questione  della loro futura gestione. L’approccio liquidatorio delle sofferenze, con una ricorsa senza fine da parte del governo ad accelerare le procedure fallimentari, le esecuzioni e gli spossessamenti, è quello che francamente preoccupa più di tutto.

COSA E’ SUCCESSO IN VENETO

Incuriosisce non poco, al riguardo, la domanda che la Presidente Elke König si è posta a proposito del Veneto: “La regione d’Italia dove si trovano queste banche ha talmente tante imprese, la base dei clienti deve pur avere valore. Anzi, uno si chiede: ma come diamine una banca è potuta finire in guai così grossi in una zona così ricca?”. Tanto per dare una dimensione bancaria del Veneto, a dicembre scorso risultavano clienti 298 mila imprese e 2 milioni 290 mila persone fisiche rispetto alle 215 mila imprese ed ai 2 milioni 130 mila del Piemonte. Gli impieghi erano pari a 156 miliardi di euro, rispetto ai 154 della Emilia Romagna, ai 112 del Piemonte e della Toscana ed ai 65 della Sicilia. Il numero degli affidati per oltre 25 milioni di euro era di 663 unità, rispetto ai 390 del Piemonte, ai 714 della Emilia Romagna ed ai 310 della Toscana. Le sofferenze del Veneto arrivavano a 19 miliardi, rispetto agli 11 del Piemonte ed ai 20 della Emilia Romagna: al confronto, non pare affatto che ci sia una tragedia in atto. In Veneto, infine, sono presenti 40 banche con 3.145 sportelli, di cui 5 banche spa con 1.817 sportelli, 4 banche popolari con 857 sportelli, e 31 banche di credito cooperativo con 657 sportelli.

POPOLARE DI VICENZA E VENETO BANCA NELLA MORSA

Il Veneto e le sue due maggiori banche, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, sono in una morsa. Da una parte forzando la mano sulle valutazioni del capitale, dei crediti e delle garanzie, e dall’altra sulla cessione delle sofferenze nei confronti delle aziende, si realizza un duplice esproprio: quello dei debitori, intere imprese; e quello dei creditori, soci delle popolari. Questa è la grande opportunità: nessuno, dunque frapponga ostacoli. Per l’Italia, sembrano tante guerre d’Indipendenza combattute al contrario: stavolta c’è in ballo il Veneto, dopo aver perso in Toscana e nelle Marche. In Liguria si resiste, ma a mala pena. C‘è da riflettere sulla frase conclusiva dell’intervista della König, quando ha rammentato che Gorbaciov, una volta, disse che “chi arriva tardi viene punito dalla storia”. Il riferimento contingente è al fatto che l’Italia ha attraversato la prima e la seconda ondata della crisi senza aver dovuto aiutare le banche, come invece, e bene, ha fatto tempestivamente la Germania quando non c’era la regola del bail in.

IL CAPPIO PER L’ITALIA

Qui, invece, si chiude il cerchio, il cappio che è stato stretto intorno al collo dell’economia italiana: con la scusa del debito pubblico insostenibile, sono state imposte politiche fiscali talmente severe da strangolarla. Caso curioso, le banche tedesche quotate sono solo tre, mentre in Italia sono nove, e ora vengono obbligate ad andare in Borsa anche le popolari maggiori, con tempi ristretti, mandandole a sbattere.

I SILENZI SULLA GERMANIA

Mentre l’Italia cerca di difendersi alla meglio, gli scricchiolii più sinistri provengono dalle banche tedesche. Bisognava smetterla con un sistema bancario del nord Europa che imita gli hedge fund: la vera opacità sta ancora lì, il mercato lo sa e la Vigilanza europea tace, per timore di fare saltare tutto. E’ la Germania ad essere in ritardo sulla storia: è già stata punita nel 2008, e lo sarà di nuovo.


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