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Perché negli Stati Uniti si sbuffa contro l’Arabia Saudita

La campagna elettorale negli Stati Uniti è entrata nella fase calda. È quindi inevitabile che le questioni politiche irrisolte e più esplosive tornino a riconquistare l’attenzione dell’opinione pubblica.

La più importante riguarda la verità su l’11 settembre, sui suoi responsabili e finanziatori. Non si può dimenticare che 2977 innocenti persero la vita negli attentati contro le Torri Gemelle e che le loro famiglie, e non solo loro, non sono per niente soddisfatte delle spiegazioni ufficiali.

Come è noto, quell’attentato cambiò radicalmente anche la politica internazionale. Le famose “28 pages”, che rivelerebbero un importante e determinante coinvolgimento di personaggi e di strutture dell’Arabia Saudita, sono ancora segretate.

Esse sono parte del rapporto della Commissione di indagine del Congresso americano su l’11 settembre. Nel frattempo, però, è apparso un altro dossier, il “document 17”, di 47 pagine, che punterebbe il dito sui legami di ben 21 persone, operanti per conto di istituzioni saudite, e i dirottatori. Interessante è la lettura del testo.

Il documento è stato declassificato, ossia reso pubblico, nel luglio 2015 dalla Interagency Security Clearence Appeals Panel (Iscap). È una parte degli elaborati della “9/11 Commission”, la seconda indagine indipendente del 2003 sul più grande atto terroristico della storia.

Il testo è stato scritto da due tra i più importanti inquirenti del governo federale americano, Dana Lesermann e Michael Jaconson. Gli stessi che per conto della Commissione di indagine del Congresso hanno partecipato alla stesura delle succitate “28 pages”.

Il “document 17”, tra i tanti interrogativi, chiede di conoscere chi abbia aiutato due dei dirottatori, che, in precedenza, avevano soggiornato a lungo in California. Essi avrebbero goduto di appoggi logistici e sostegni finanziari di cittadini sauditi operanti sul territorio americano, dei quali uno sarebbe stato addirittura un informatore della Fbi.

Nella lunga serie di domande alla Fbi si cerca di comprendere se sia stato fatto tutto il necessario per fermare i terroristi e scoprire le eventuali responsabilità e complicità dei 21 cittadini sauditi.

Esso rivela anche vari collegamenti internazionali con personaggi operanti in altri Paesi tra cui la Germania e la Norvegia.

In merito si spera che le nostre autorità abbiano controllato l’eventualità che i 21 personaggi menzionati abbiano avuto contatti anche nel nostro Paese.

Negli Usa su tali questioni il dibattito è diventato più acceso e più diffuso.

L’ex senatore Bob Graham, già copresidente della Commissione d’indagine del Congresso su l’11 settembre, continua con insistenza a chiedere la desecretazione delle 28 pagine. Anche recentemente, in diverse interviste, ha ribadito che “è necessaria la riapertura di un’indagine generale su l’11 settembre perché entrambe le Commissioni di indagine hanno dovuto operare entro un limite temporale che non ha permesso una’indagine esaustiva”.

Ha aggiunto: “Le 28 pagine sono importanti in quanto indicano come il complotto venne finanziato e, anche se non sono autorizzato a discuterne, i dettagli comunque puntano il dito in maniera forte contro l’Arabia Saudita. È notorio che agenti del governo saudita hanno aiutato almeno due dirottatori che vivano a San Diego, con sostegni finanziari e garantendo loro l’anonimità”.

La denuncia è forte tanto che definisce il lavoro della Fbi una “aggressive deception”, un inganno aggressivo.

Riteniamo che i fatti in questione siano troppo importanti per la stabilità e per la lotta contro il terrorismo internazionale e che la piena verità possa essere il primo passo per affrontare in modo giusto e pacifico le sfide globali.



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