C’era un tempo in cui il modello politico ed economico della Spagna era un esempio per l’Europa. “La nostra situazione politico-istituzionale e la maggiore efficienza del settore statale consentono al governo uno spazio di manovra, un decisionismo, come si direbbe da voi, che permettono di affrontare senza eccessivi patemi i momenti difficili […] Così salverò la Spagna da una crisi all’italiana”, assicurava a Repubblica il presidente spagnolo, Felipe González, nel lontano 1992. Più recentemente, nel 2014, il premier Matteo Renzi proponeva una riforma della legge elettorale ispirata al modello spagnolo, con divisioni territoriali, liste bloccate e senza voti di preferenza. E molti economisti lodavano il modello spagnolo di mercato del lavoro, mentre altri – come Mario Seminerio e Stefano Cingolani – non era troppo entusiasti, anzi.
NUOVE ELEZIONI: RISCHI E COSTI
Per la prima volta la Spagna andrà al voto per la seconda volta in meno di un anno. Il re Filippo VI ha firmato il decreto per sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni il prossimo 26 giugno. Le diverse forze politiche, il 2 maggio, hanno fatto scadere il termine entro cui arrivare a un accordo e formare il nuovo governo. Dopo le elezioni del 20 dicembre, nessun partito ha ottenuto la maggioranza e la possibilità di un patto di governabilità è sfumata a ogni incontro successivo.
Come previsto dalla politologa Paloma Román su Formiche.net (qui l’articolo) la leadership politica spagnola ha costretto i cittadini a tornare alle urne e, nel frattempo, il Paese è rimasto in stallo. Un articolo del sito El Español sostiene che i partiti non siano stati in grado di decidere su come risparmiare nella prossima campagna elettorale, motivo per cui le nuove elezioni costeranno agli spagnoli 192 milioni di euro. Per la sola organizzazione, il ministero degli Interni spenderà circa 130 milioni di euro.
ULTIMI SONDAGGI, STESSI RISULTATI
I risultati dei sondaggi più recenti, però, non fanno pensare a cambiamenti radicali. Secondo gli ultimi dati pubblicati da El Confidencial, la caduta di quasi tre punti percentuali di Podemos (dal 20,66% ottenuto il 20 dicembre al 17,7%), registrata dal Centro di ricerche sociologiche (Cis), può essere utile a Pedro Sánchez per guadagnare posizioni. Ma il Psoe resterebbe, comunque, al 21,6% (mezzo punto in meno rispetto ai risultati del 20 dicembre). L’ipotetica alleanza tra il Partito Popolare e Ciudadanos potrebbe fallire nel tentativo di raggiungere la maggioranza: il partito di Albert Rivera ha il 15,6% (due punti in più rispetto al 13,93% del 20 dicembre), ma il gruppo guidato da Mariano Rajoy è sceso dal 28,72% al 27,4%. “Sono disposto a togliere la mia faccia dai cartelli elettorali”, ha detto Rajoy, in quella che sembra un’importante concessione. I dati rivelati dai sondaggi indicano che anche le nuove formazioni politiche come Podemos (qui l’articolo di Formiche.net su “tutti i grilli per la testa di Podemos”) e Ciudadanos (qui l’articolo di Formiche.net su chi sono e cosa vogliono i cugini ‘borghesi’ di Podemos) hanno deluso gli elettori durante le discussioni per un accordo di governabilità.
CONSEGUENZE DELLO STALLO
Quando sembrava che la ripresa economica fosse alle porte – con la riduzione degli indici di disoccupazione (che rimane al 25%), del debito pubblico e l’aumento degli investimenti stranieri e delle esportazioni – l’instabilità ha colpito di nuovo, alimentando la peggiore recessione degli ultimi 40 anni. Tra gli effetti negativi dello stallo politico c’è anche la completa scomparsa della Spagna dallo scenario internazionale. I reali, il premier e gli altri rappresenti del governo – notano alcuni osservatori – non viaggiano più all’estero e non prendono decisioni o posizioni riguardo a temi importanti come la crisi migratoria, la guerra in Siria o la Brexit. Per sancire un nuovo inizio alla Spagna non resta che aspettare le elezioni del 26 giugno e l’inaugurazione della nuova legislatura del 19 luglio.