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Un’Italia che sprofonda

Giusto ieri, un po’ per il gusto di voler fare il bastian contrario un po’ perché a parlare male della Salerno Reggio Calabria ci rimette tutto il Sud, ero lì a difendere la famosa autostrada commentando un articolo di Francesco Merlo apparso su La Repubblica. Già, neanche il tempo di prendere le difese della Salerno-Reggio, autostrada ridotta – non sempre a ragione – a cifra dell’incapacità di questo paese di fare le cose per bene, denominatore comune di tutto il pressapochismo e di tutto il malaffare che in questo paese si sostiene attraverso una logica al ribasso in termini di qualità e di attenzione, che di colpo nel fango sprofonda Firenze.
Ora, la Salerno – Reggio Calabria, purtroppo, non fa neanche più notizia. Al punto che ci si può pure morire dentro sbattendo contro uno spigolo vivo lasciato nell’oscurità dentro una galleria nei pressi di Mileto che, con Giuseppe Occhiato, andrebbe rinominata “L’Ultima Erranza”, senza neanche meritarsi un palco in prima pagina sui quotidiani nazionali. Sono notizie che finiscono genericamente nella cronaca. Cinque morti per una galleria fatta male e illuminata peggio non vengono raccontati nella loro gravità perché associare l’idea di un incidente mortale alla normalità di percorrere sulla propria automobile un tratto di autostrada in galleria, finirebbe col generare il panico. “Dovrebbe” indurre i cittadini a non fidarsi più di nulla in questo paese.

No, Firenze è Firenze. È un’altra cosa, di quelle – poche – che fa notizia al di là dei confini. Firenze fa notizia come il Papa. Perché l’Italia negli Stati Uniti, in Germania, è associata direttamente a Roma. A Firenze e a Venezia. Città che smuovono tutto un immaginario: l’arte, la storia, il buon cibo. Firenze e Venezia, appunto. Inutile scadere in facili battute lagunari. Eppure anche il Lungarno che sprofonda è notizia che va nella cronaca.

Il dramma di questi fatti, che ancora una volta evidenziano la fragilità delle nostre infrastrutture, è che nonostante la loro gravità, essi continuano a non essere sufficienti per imporre all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente la necessità di costruire un grande progetto d’interventi di manutenzione seria e meticolosa dell’esistente.

Pensate alle metropolitane, ad esempio. Le stazioni della metropolitana, in particolare quelle delle linee più vecchie, hanno un sistema delle vie di esodo e piani di emergenza che andrebbero aggiornati per tenere conto del numero di passeggeri che non è più quello che era stato previsto a progetto, ma in molti casi, notevolmente aumentato.
Pensate alla rete viaria, affidata a concessionari pubblici e privati. Ci sono tantissime gallerie la cui lunghezza, per fare economia, per evitare di installare impianti di ventilazione, è – guarda caso – sempre inferiore a cinquecento metri.

I nuovi appalti e i nuovi affidamenti, al netto di tutte le riforme e dell’ammodernamento dei codici che li regolano, Cantone a parte, sono fatti sempre con una logica che premia il ribasso e non l’eccellenza. Che non premia la qualità della proposta tecnica. Cordate, fratellanze, parrocchie. Tutto il sottobosco professionale con la compiacenza delle dirigenze, dei controllori e degli appaltanti favorisce un sistema che spende un po’ meno oggi arricchendo poco ma sempre qualcuno, ma che alla fine, sul lungo periodo, costa di più perché le cose non sono mai fatte a regola d’arte.
Un paese che paga ogni giorno dazio per non avere una borghesia colta e responsabile. Che si accontenta dei bru bru sacrificando la vita dei suoi stessi concittadini barattandola con i suoi atavici vizi e trucchi.

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