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Vi svelo cosa si dice negli Stati Uniti dell’Europa

Di rientro dalla consueta settimana sulle relazioni transatlantiche, ho deciso di fissare alcuni pensieri in libertà. Solitamente quando vengo invitato a intervenire sui temi di sicurezza e difesa faccio una premessa molto chiara. Ciò che penso rispetto all’ordine mondiale, non è neutro. Faccio parte dell’assemblea parlamentare della Nato e per tale ragione ho una visione “atlantica”. Ciò significa che comunemente penso che noi siamo i buoni, e quelli che non sono con noi, al netto di quelli che cooperano, sono i cattivi.

Tuttavia questa che io chiamo visione “atlantica” non è oggi così scontata, principalmente per due ragioni.
La prima è insita alla situazione globale stessa. Dopo 7 anni e mezzo di amministrazione Obama il mondo non è migliore. Ci sono più guerre aperte, maggiori differenze economiche tra Stati, maggiori differenze tra ricchi e poveri. Il saldo tra le crisi aperte e crisi chiuse, è a favore delle prime. Dittatori ed oligarchi continuano a regnare indisturbati a scapito dei diritti delle persone. Le spese per difesa e sicurezza rappresentano forse l’unica voce di spesa del Pil mondiale che ha subito un considerevole incremento.

La seconda ragione è legata all’ipotesi di cambiamento delle relazioni tra Usa ed Europa. Al di la delle belle parole e del glorioso passato che ci lega, lo zio Sam considera l’Europa un problema o, quando va bene, un’entità significativa di cui non vale nemmeno la pena di occuparsi. È un problema sicuramente rispetto alle ingenti spese militari che oggi gli Yankees devono sostenere per provvedere alla nostra intelligence e sicurezza. Lo è rispetto al Ttip, il tanto vituperato trattato di libero scambio, sul quale gli americani, appena hanno subodorato che avrebbe favorito alcune produzioni europee, hanno fatto marcia indietro a razzo. Lo è anche per il fatto di non avere una prospettiva di crescita economica e demografica (che poi io credo siano due questioni legate). Lo zio Sam ama occuparsi di chi dimostra di essere competitivo sul piano militare ed economico. Noi europei non lo siamo su nessuno dei due.

Fantapolitica? Magari. Ultimamente frequentando il John Hopkins Institute, la Chicago University, l’Atlantic Council e altri think thank blasonati, questi scenari si possono ascoltare da parte di esimi professori. E non si tratta di centri di ricerca che buttano lì qualche previsione strampalata. Sono istituzioni finanziate dai principali stakeholder americani, del settore dell’energia, delle armi e di altri settori strategici. Offrono analisi, ma offrono al loro (futuro) governo anche indirizzi operativi.

Ed è interessante notare come le elezioni americane più “strane” degli ultimi decenni, in cui quello che veniva considerato un outsider come Trump rischia di fare il colpo gobbo, possano rappresentare il cambio di strategia degli USA nei confronti dell’Europa e del Mediterraneo.

Sotto questa luce è sorprendente come l’Europa, invece di fare un passo in avanti rispetto a politiche fiscali, di investimenti, militari, di sicurezza e soprattutto di politica estera comune, si stia attorcigliando intorno al problema dei rifugiati e della Brexit.

Mi chiedo se e come si possa invertire questa assurda corsa verso il declino, se invece di mettere alla guida dei processi gli uomini forti a disposizione come la Merkel, Cameron, Chirac o lo stesso Renzi, abbiamo messo un grigio burocrate come Junker (che tra l’altro è del mio partito Europeo). Una marcia inesorabile verso il baratro, mentre ciascuno stato membro pensa esclusivamente a portare a casa qualche piccola partita di interessi.

Forse è tempo di aprire gli occhi.


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