Ancora un tracollo in Borsa per Acea: ieri il titolo dell’utility controllata dal Comune di Roma ha lasciato sul terreno un altro 3,3%, una percentuale quasi analoga a quella persa lunedì. Due giorni dopo il risultato delle amministrative romane, la spiegazione che arriva dal mercato è sempre la stessa: l’eventuale vittoria al ballottaggio di Virginia Raggi, la candidata del Movimento 5 Stelle forte di oltre il 35% delle preferenze, porrebbe rischi di governance per la principale controllata del Comune di Roma.
COSA PENSA RAGGI DI ACEA
La posizione dell’aspirante sindaco è nota: cambiare il management in carica e pubblicizzare il servizio idrico. Ma nella pratica questi proponimenti sono attuabili? Secondo l’avvocato Gianluigi Pellegrino, conosciuto anche per aver affiancato l’allora sindaco Ignazio Marino nel cambio di management in Acea, no. Il perché lo spiega a MF-Milano Finanza partendo da un assunto che è incontrovertibile: Acea è una società quotata e come tale il socio, seppure di controllo, non può fare e disfare a suo piacimento.
IL COMMENTO DELL’AVVOCATO PELLEGRINO
«Non si può pensare di arrivare in Campidoglio e togliere il settore idrico ad Acea», afferma Pellegrino, «Ci sarebbe la rivolta degli azionisti privati». Sulla carta perciò la pubblicizzazione dell’acqua avrebbe una sola strada, altrettanto impervia, al netto di altre ipotesi impossibili come un delisting. «Bisognerebbe attendere la scadenza della concessione trentennale che il Comune ha concesso all’Ato2, a maggioranza Acea (il termine è fissato al 2032, ndr) per poi creare un’azienda speciale che fornisca direttamente l’acqua ai romani, dunque senza passare più per Acea, che per il 49% è privata. Ma anche in questo caso oltre ai tempi lunghissimi, si pongono tutta un’altra serie di questioni. Il Comune potrebbe davvero regalare l’acqua ai romani?». Ipotizzare allora una rescissione del contratto con l’Ato2 prima del tempo? Il concedente potrebbe farlo, spiega l’avvocato, «solo per gravi inadempimenti da parte di Acea o per conclamate ragioni di pubblico interesse, e tra queste certo non rientra il voler svolgere in proprio lo stesso servizio».
CHE COSA (NON) SI PUO’ FARE
La ripubblicizzazione del SII (Sistema Idrico Integrato), insomma, può avvenire solo a scadenza della concessione, o il nuovo concessionario (eventualmente una società interamente pubblica) dovrebbe riconoscere a quello uscente il valore della Rab, la tariffa regolata che corrisponde agli investimenti effettuati: ad oggi nel caso di Acea Ato 2, stimano fonti dell’azienda, è di oltre un miliardo di euro. Secondo l’avvocato Pellegrino, la candidata del M5S parla come se il Campidoglio fosse solo il concedente del servizio idrico e non allo stesso tempo azionista di maggioranza della società concessionaria. «Che poi questo sia un modello sbagliato non mi sento di negarlo, ma modificarlo dall’oggi al domani non è possibile. Oggi la cosa più seria che il Comune, chiunque sarà il sindaco, possa fare è piuttosto imporre ad Acea di aumentare la vigilanza sul servizio e gli investimenti sulla rete idrica, dimenticandosi di essere l’azionista di maggioranza e differenziandosi dai privati che, giustamente, guardano alla redditività delle loro partecipazioni più che alla bontà del servizio erogato, visto che non esistono concorrenti con i quali competere».
L’ESEMPIO DELL’ACQUEDOTTO PUGLIESE
L’esperienza dell’Acquedetto pugliese insegna che rendere pubblica l’acqua non è affare semplice. Alla Regione Puglia non è ancora riuscito nemmeno di trasformare la spa in ente, progetto in cantiere da anni e che nel 2006 ha portato anche alle dimissioni dell’allora presidente Riccardo Petrella. Ripubblicizzare, infatti, implica affidare la gestione del servizio idrico a un soggetto di natura giuridica pubblica e non a una società per azioni com’è tuttora l’Aqp.
LE ALTRE VOGLIE GRILLINE
Complessa anche l’attuazione dell’altro proposito grillino: cambiare il management e senza attendere la scadenza del mandato. A chi gli fa notare che all’ex sindaco Marino il ribaltone al vertice è riuscito, seppure dopo aspre battaglie legali prima della definitiva resa dei conti in assemblea il 5 giugno 2014, Pellegrino ribatte che allora l’azzeramento del management era stato basato su una modifica della governance, che riduceva da 9 a 7 il numero dei consiglieri. Fatto sta che se ne andarono a casa sia l’ad Paolo Gallo che il presidente Giancarlo Cremonesi, sostituiti dagli attuali vertici: l’ad Alberto Irace e la presidente Catia Tomasetti. «Ora la Raggi spieghi come intenderebbe fare: proporre a sua volta un nuovo modello di governance o revocare il mandato ad amministratori ancora in carica. In che modo? Ponendo la giusta causa su che basi? La revoca comporterebbe il pagamento di indennizzi ed esporrebbe l’azionista Roma Capitale a una serie di cause».
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)