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Tutte le nuove sbandate di Volkswagen

Erano in molti ad aspettarsi la rivolta dei piccoli azionisti lo scorso mercoledì all’assemblea generale della VW. In molti che avrebbero scommesso nella messa in discussione di Hans Dieter Pötsch, dallo scorso settembre nuovo grande capo del gruppo di Wolfsburg. Invece, nonostante dalle indagini sul Diesel Gate – lo scandalo esploso l’anno scorso attorno alle emissioni truccate – appaia sempre più improbabile che i vertici VW non sapessero, quello che è uscito mercoledì dall’assemblea generale è stato, nonostante la latitudine e la mentalità teutonica assai differente, una strategia nella migliore delle tradizioni gattopardesche. Questo almeno l’impressione dei media tedeschi.

Pötsch ha parlato per ottanta minuti di fila “un tempo tutt’altro che usuale per un grande boss”, osservava il quotidiano economico Handelsblatt “ma non ha detto nulla di concreto”. Anche perché il tempo dedicato alla causa, alle cause in corso è stato minimo. Pötsch si è infatti limitato a dire che non avrebbe fatto rapporto sullo stato delle inchieste, perché non c’era nulla di nuovo da aggiungere.

Un comportamento che non è affatto piaciuto alla Frankfurter Allgemeine, anche perché, ricordava il quotidiano, proprio Pötsch nel suo primo discorso da grande capo aveva promesso un nuovo corso caratterizzato in primo luogo dalla trasparenza. “Ma nel suo comportamento ieri, di limpido non c’era proprio nulla”, osservava la FAZ. “I vertici sapevano che l’assemblea sarebbe stata turbolenta. Il Diesel Gate ha alimentato una fortissima diffidenza da parte degli azionisti istituzionali e ancora di più tra quelli piccoli. A ragione. Peccato che il grande capo non abbia nemmeno provato a fugarne un po’. Anzi, ha fatto l’esatto opposto”. Vero, ma come tutti i quotidiani sottolineavano, Pötsch sapeva di poter contare sull’appoggio degli azionisti di maggioranza, le famiglie Piëch e Porsche, oltre la Qatar Holding. Loro gli avevano già assicurato che non avrebbe dovuto cedere la poltrona. E così anziché dare spiegazione, Pötsch ha solo cercato di traghettare la barca attraverso l’assemblea senza incagliarsi in qualche scoglio. E gli è riuscito.

Anche Handelsblatt sottolineava la profonda irritazione dei piccoli azionisti per la conferma di Pötsch alla guida della VW. Una conferma che pare loro più che dubbia, visto l’esposto fatto dall’Autorità tedesca di vigilanza sui mercati finanziari (Bafin) e l’apertura da parte della procura di Braunschweig di un’inchiesta nei confronti del predecessore di Pötsch, Martin Winterkorn e l’attuale numero uno del marchio VW Herbert Diess.

Il sospetto è che i vertici fossero stati anzitempo informati dell’inchiesta che gli americani avevano aperto contro il gruppo e che abbiano disatteso l’obbligo di darne notizia agli azionisti. Un sospetto che, se provato metterebbe sul banco degli imputati non solo Winterkorn e Diess ma anche gli altri occupanti dei piani alti.

Proprio per via di questo sospetto i piccoli azionisti avevano chiesto la testa di Pötsch, il quale è stato a lungo responsabile finanziario del gruppo. Già ma, come dichiarava Markus Dufner della Confederazione degli azionisti critici alla FAZ “il sistema VW si basa su una collaudata rete di connivenze, una rete che comprende le famiglie Piëch e Porsche, il consiglio di fabbrica e il management.

Ai piccoli azionisti non è rimasto altro che accontentarsi di una magra consolazione. Durante la votazione sul futuro di Pötsch, il Land Niedersachsen, anch’esso azionista di VW, si è astenuto. Una mossa che va però letta innanzitutto in chiave politico strategica. Un quinto dei dipendenti della VW si trova a Wolfsburg. Ulteriori scossoni al gruppo potrebbero anche costare posti di lavoro. E quale politico metterebbe così a rischio il proprio futuro?

Infine anche il quotidiano di Monaco, la Süddeutsche Zeitung, si è espresso in modo assai critico. “Sono trascorsi otto mesi, da quando il Diesel Gate è diventato di dominio pubblico e ha gettato la VW in una profonda crisi” scriveva la SDZ. “E a oggi non è ancora possibile calcolare l’entità del danno che questo ha provocato al gruppo. Non è possibile dire a quanto ammonterà il risarcimento, a quanto le ammende e a quanto il danno di immagine. Tante domane ma zero risposte da parte dei vertici”.

Ma se da una parte lo scandalo delle manipolazioni ha messo in luce un tratto dell’imprenditoria tedesca tutt’altro che limpido, dall’altra, conclude la SDZ, può rappresentare anche una chance per il settore. “Perché costringe a un cambio radicale. È come se lo scandalo avesse dato la sveglia all’industria dell’automobile del nostro paese, agli imprenditori che per troppo tempo si sono adagiati sugli allori (certo, meritati) anziché puntare sulla ricerca e le tecnologie per auto sempre più sostenibili e tecnologicamente avanzate”.

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