C’è poco da dire. Anche se i dati non sono ancora definitivi, in base a quanto riporta il Viminale, Roma e Torino vanno al M5S segnando una svolta nel panorama politico italiano. Che a Roma vincesse Virginia Raggi era quasi ovvio, ma che il risultato fosse attorno al 67% era davvero difficile pensarlo. E assolutamente inaspettata è la vittoria di Appendino a Torino. Con un margine, oltretutto, ampio su Fassino, storico volto della sinistra italiana.
A Milano Beppe Sala, come a Bologna Merola, vince e di misura sull’avversario del centro destra, solo grazie all’appoggio esplicito della sinistra. Questo ci dice che il PD vince solo quando guarda al suo alleato naturale che è necessariamente la sinistra e non certo il centro-destra di Alfano e meno che mai il gruppo di Verdini.
Ci sarà tempo domani e più avanti di fare riflessioni più articolte, ma già ora si possono dire alcune cose, poche, ma importanti: 1) la campagna elettorale del PD è stata pessima a Roma, basata su non argomenti e mirata a delegittimare l’interlocutore. Andrebbe resettato l’intero gruppo che si è occupato della comunicazione, tanto è stato imbarazzante. 2) quelllo che a livello nazionale è stato fatto e detto, poiché si sono esposti non solo Renzi, ma anche Boschi e tanti altri esponenti importanti del partito, ha avuto un peso e specie sulle valutazioni delle nostre elettrici e dei nostri elettori tradizionali. 3) il partito è sfibrato, allo sbando. Questo tentativo di trasformazione antropologica non è andato a buon fine e il risultato è, secondo me, che si son create spaccature forti e in certi casi insanabili. La dirigenza deve prendersi la responsabilità politica delle scelte fatte, degli interlocutori con cui si son volute portare avanti battaglie che con la cultura, sensibilità e con gli interessi di quel mondo c’entravano davvero poco. 4) viene bocciato un modello di politica che è stato spacciato come nuovo e che non lo era affatto. Torino è la cartina di tornasole: un’amministrazione che ha lavorato bene, un sindaco competente e onesto. Tutto questo non è bastato a convincere la cittadinanza a rinnovare una fiducia: dire che il livello nazionale non ha giocato alcun ruolo è prendersi in giro.
Adesso serve un moto di dignità e umiltà perché questo è un partito da rifondare, così come la sua identità. Con quei valori che lo rappresentano e che lo hanno sospinto alla sua nascita. La strada è lunga e la battaglia è appena iniziata: la sfida è riuscirci. Altrimenti non credo che questo PD possa farcela.