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Brexit, cosa dice l’industria della moda

Anche nel mondo della moda c’è chi si schiera a favore o contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione europa. La sfilata che ha presentato la Pre collezione Primavera Estate 2017 di Gucci, firmata da Alexandro Michele, ha preso una posizione politica sul referendum del 23 giugno. La presentazione della collezione si è svolta nell’abbazia di Westminster, un simbolo della monarchia inglese. Tra gli outfit più noti, un jersey con la stampa della colorata bandiera britannica. In prima fila, per sostenere la posizione della firma, c’erano molti voti noti: Ella Purnell, Sai Bennett, Alexa Chung, Stella Tennant ed Erin O’ Connor.

BUSINESS OF FASHION

Gran parte degli stilisti inglesi non è d’accordo con l’uscita del Regno Unito dall’Europa. Un comunicato diffuso da Business Of Fashion spiega che per il settore della moda la secessione rappresenterebbe un crollo significativo in termini economici e commerciali. La svalutazione della moneta britannica aumenterebbe i costi con i fornitori, riducendo i benefici delle vendite all’estero. “L’uscita dall’Unione europea – si legge nel testo – colpirebbe la libera circolazione di talenti. Londra è una fabbrica di designer di successo. Uscire sarebbe negativo per il Regno Unito e per il resto del mondo”.

IL SONDAGGIO

In un sondaggio realizzato dalla Business Of Fashion, e che ha coinvolto 500 stilisti, “il 90 per cento ha detto che vuole restare in Europa, il 4,3 per cento vuole andare via, il 2,4 per cento è indeciso e il 2,8 non voterà”. Tra quelli che scelgono pubblicamente di restare ci sono gli stilisti Christopher Raeburn, Daniel W. Fletcher, E. Tautz, Lou Dalton e Sibling.

I primi di giugno, il Ceo del BoF, Imran Amed, il direttore di Vogue UK, Alexandra Shulman e gli stilisti Vivienne Westwood e Hussein Chalayan si sono pronunciati a favore del Remain. Un report della Creative Industries Federation ha indicato che il 96 per cento dei suoi membri è contro la Brexit.

I CONTI DELLA MODA

Business Of Fashion ricorda che nel 2014 l’industria della moda ha prodotto 33 miliardi di euro per l’economia britannica; uscire dall’Unione europea svaluterebbe la moneta del 20 per cento e colpirebbe soprattutto gli affari con la Cina.

IL CASO BURBERRY

Un caso particolare, in cui si verificherebbe un vantaggio economico nel caso in cui vincesse l’ipotesi Brexit, è quello del marchio di lusso britannico Burberry. Come segnala il quotidiano americano Wall Street Journal, il fabbricante di trench classici ha il 15 per cento dei costi di produzione e il 40 per cento delle spese operative in sterline, nonostante le vendite in Gran Bretagna costituiscano soltanto il 10 per cento del totale. Secondo Barclays, una svalutazione del 10 per cento della moneta britannica gioverebbe al noto marchio un aumento del fatturato del 20 per cento.

GLI ISTITUTI A LONDRA

Londra non è solo l’epicentro internazionale delle attività commerciali delle case di moda o dei laboratorio di stilisti. La città ospita anche i più importanti istituti di formazione, tra cui la Central Saint Martins, l’Istituto Marangoni, le facoltà di moda dell’Università di Westminster e del Royal College of Art. Stilisti stranieri come Roksanda Ilinčić, Marta Marques, Paulo Almeida, Mary Katrantzou e Johnny Coca hanno fondato scuole di moda a Londra dopo avere studiato nella capitale britannica. Molti di questi istituti ricevono anche fondi dall’Unione europea.

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