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Chi frena e chi spinge sulla Brexit nel Regno Unito

L’incertezza sulle condizioni di una possibile Brexit ha fatto uscire allo scoperto esponenti di spicco del mondo economico e finanziario britannico, con prese di posizione ormai quotidiane. Non stupisce che la comunità finanziaria della City esprima posizioni contrastanti, con le banche d’investimento favorevoli a rimanere nell’Unione e gli hedge funds invece non contrari a una separazione. La maggior parte delle aziende, cui interessa mantenere l’accesso al mercato unico, spinge per rimanere, minacciando di spostare le proprie sedi altrove in Europa in caso di Brexit. Soltanto l’1% degli executives dei maggiori gruppi britannici sarebbe a favore di un’uscita (Ipsos Mori 2015).

Per usare le parole del direttore della confederazione degli industriali Uk (Cbi) John Cridland, il senso di generale incertezza, sia sul risultato elettorale sia sull’esito di un eventuale referendum, preoccupa il mondo delle imprese, mettendo a rischio lo sviluppo e l’attrattività del Paese. Per mettere fine allo stato d’incertezza attuale, più che per un desiderio di uscita, si devono leggere le dichiarazioni del presidente della Camera di commercio britannica (Bcc) John Longworth, secondo cui non solo il referendum è necessario, ma è auspicabile venga fatto entro la primavera del 2016.

Le conseguenze economiche di un’uscita dall’Unione passano in secondo piano e i vari studi condotti finora peccano, come sostiene anche il Financial Times, di essere di parte e di non fornire alternative e informazioni comprensive e accurate su tutti gli scenari possibili. I dati sullo stato dell’economia britannica in caso di Brexit variano in maniera significativa, rispecchiando la posizione ideologica di chi li ha commissionati: si va da chi sostiene che l’economia del Regno sarebbe più povera del 6 per cento a chi crede sarebbe più ricca del 5 per cento.

Non avendo chiari i termini e i dettagli dell’eventuale rinegoziazione in seguito a una vittoria dei “si”, è difficile districarsi tra le varie stime. Ancora una volta, prevale l’incertezza. Quel che è certo è che la questione europea in Gran Bretagna non si risolverebbe con il referendum, qualsiasi fosse la decisione dell’elettorato. Se è vero che sembra esserci un accordo nel Paese nel sostenere la necessità di una rinegoziazione del rapporto con l’Ue, le variabili sono così tante e intricate che l’unica certezza sembra la consapevolezza di una situazione in continuo cambiamento: ogni previsione potrà essere invalidata a seconda dell’umore politico e del Paese nei prossimi mesi.

(Estratto di un’analisi pubblicata sulla rivista Formiche)



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