Il primo errore che non dovremmo fare è quello di addossare al “populismo” montante il voto inglese. Per nostra buon sorte, e penso anche alle vicende novecentesche, il popolo anglosassone si è sempre tenuto fuori dalle ideologie e teologie politiche, che al massimo hanno avuto corso in ristretti circoli politico-intellettuali.
Di fronte alla politica, l’atteggiamento degli inglesi è per lo più quello che si conviene ad un mondo laico e secolarizzato: “cosa ci guadagno” o “cosa ci perdo” a votare questo o quest’altro? “Guadagnare” in termini economici, certo, ma anche di libertà. La quale è il valore portante, fondante della società. Non barattabile con alcunché, nemmeno con il principio della sicurezza che offre ad esempio il Welfare State (il quale, prima che degenerasse in assistenzialismo puro, era comunque stato una “invenzione” anche inglese).
Nello spirito, la politica inglese è il luogo di mediazione degli interessi e di salvaguardia delle regole (poche e generali) su cui si basa la comunità, non una ingegneria, un’attività elaboratrice di progetti. Progetti calati per lo più dall’alto, astratti e lineari, elaborati da tecnici e professori che credono di conoscere meglio e più degli individui reali quello che è per loro bene. E che, soprattutto, per raggiungere questo fine, impongono regole e tarpano le ali agli spiriti liberi. E quale progetto può dirsi oggi più astratto di quello europeo, almeno per come esso è andato maturando prima nella Comunità Economica e poi nell’Unione Europea?
L’Inghilterra non lo ha mai accettato fino in fondo, è stata sempre con un piede dentro e uno fuori. Ora, con questo voto, offre un contributo alla chiarificazione. E lo fa, ripeto, più nell’ottica dell’Old England, geloso delle sue libertà, che non di una protesta sterile e fine a se stessa che trova rappresentazione plastica oltremanica solo in pochi personaggi del tipo di Farage.
Che quello inglese non sia stato poi un voto di pancia, emotivo, lo dimostra l’ininfluenza che ha avuto su di esso l’assassinio di Jo Cox, che pure ha meritato il cordoglio sincero di tutta la società civile e politica. Così come a nulla o a poco sono serviti i “colpi bassi” della propaganda: i paventati rischi di un crollo delle Borse e di una crisi dell’economia che se pure ci sarà sarà probabilmente di breve durata: una sorta di assestamento prima di partire più forti. E in ogni caso gli inglesi hanno fortemente voluto ancora una volta che la loro vita e il loro destino siano rimessi nelle proprie mani, non affidate a entità astratte come gli Stati e i super Stati.
Quella del Brexit è perciò, sotto ogni punto di vista, ogni vittoria liberale. Un insegnamento anche per noi europei, per resettare tutto e costruire un’Europa che esalti e non soffochi le libere energie che ancora circolano nel nostro vecchio continente.