Se si dovesse valutare l’importanza di una decisione dai movimenti dietro le quinte, il consiglio d’amministrazione di Cassa Centrale Banca (convocato per la prossima settimana, probabilmente lunedì 20 giugno) sarà cruciale per capire quali saranno le sorti del mondo delle banche di credito cooperativo. La società trentina è considerata l’unica candidata in grado di giocare il ruolo di leader di un polo alternativo aggregante di banche cooperative, in alternativa all’unica holding attualmente preposta a fare da polo aggregatore, cioè Iccrea Banca. Sette giorni decisivi con il conto alla rovescia che parte già oggi, quando secondo indiscrezioni potrebbe tenersi uno degli incontri tra Iccrea e Cassa Centrale volti a trovare un accordo tra le parti e convergere su una sola holding, quella di Iccrea appunto.
Il decreto approvato dal governo sul settore (che per qualcuno resta anticostituzionale perché obbliga imprese private come le banche ad aderire a un altro gruppo bancario) prevede però la possibilità che si formi più di un polo aggregante, a patto che l’istituto aggregatore possiede un patrimonio da almeno 1 miliardo. È abbastanza chiaro che al massimo le holding possono essere due, così com’è chiaro che, nel caso, solo la Cassa Centrale potrebbe essere un’alternativa credibile, non solo per dimensioni (il patrimonio non raggiunge 1 miliardo, ma l’eventuale progetto di holding alternativa non dovrebbe avere problemi a raggiungere queste cifre) ma anche perché al gruppo fanno capo due tra le più importanti società informatiche del settore (Phoenix Informatica Bancaria e Informatica Bancaria Trentina), cui fanno riferimento circa 170-180 istituti di credito. Al nord la partita è vista come prettamente politica. Da una parte c’è quello che viene definito il mondo «romano», identificato con Iccrea, e dall’altro un mondo bancario che teme di confluire in un sistema poco efficiente e trasparente.
Il problema è che esporsi è rischioso, e chi non vuole farlo teme che un eventuale accordo in favore di una holding unica finisca per penalizzare gli istituti che in precedenza hanno tifato per una scissione. A maggior ragione ha creato scompiglio l’avviso a pagamento pubblicato venerdì 10 da 15 Bcc firmatarie (Aquara, Monte Pruno, Buonabitacolo, Civitanova, Viterbo, Borgo S. Giacomo, S. Marzano di Taranto, Pisa e Fornacette, Marcon, Regalbuto, Mazzarino, Monopoli, Credito Etneo Catania, Castagneto Carducci e Messina) di un lungo appello nel quale chiedono alle Bcc di prendere atto «che da questa situazione tipo Corea del Nord si esce solo creando una seconda capogruppo. […] Il mercato si regge sulla concorrenza, non sul monopolio. Chi dice il contrario è in malafede».
Parole dure e soprattutto molto chiare di chi dietro le quinte spera nel «coraggio» della Cassa Centrale. Ma le prossime ore in questo senso potrebbero essere decisive. Difficilmente senza un passo avanti della società trentina le altre realtà potrebbero «aderire» all’appello lanciato la scorsa settimana. Oggi in Italia le Bcc sono circa 360, ma a seguito del processo di aggregazione in atto c’è chi stima che già nell’arco dei prossimi due anni potrebbero scendere a circa 250. E c’è chi è convinto che il nuovo polo potrebbe aggregarne almeno la metà, andando a costituire il quarto o quinto gruppo bancario del paese. La partita è ormai nella fase decisiva.
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)