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La mia “discorde amicizia” con Gianni Cuperlo

Mi sento legato a Gianni Cuperlo da una “discorde amicizia”. Lo conosco dai tempi in cui era segretario della federazione giovanile comunista (se non ricordo male, ne è stato l’ultimo). Di lui ho sempre apprezzato la personalità schiva e il carattere forte, la robusta cultura e l’attaccamento alle radici popolari della sinistra. Così come ho apprezzato la sua lettera pubblicata oggi da Repubblica, in cui – replicando a un articolo di Ezio Mauro assai severo con il Pd – invita Matteo Renzi  ad abbandonare le iperboli bellicose (“il lanciafiamme“) e a rimboccarsi le maniche per costruire un partito nuovo, interamente nuovo.

Come egli sostiene, differenziandosi da certi appelli lanciati nei giorni scorsi dallo stesso Pier Luigi Bersani, non è sufficiente rimpiangere l’Ulivo o evocare il socialismo europeo. C’è da ricostruir pensiero e forma di un centrosinistra in sintonia con i bisogni di benessere e di uguaglianza di milioni di donne e uomini che vivono ai margini della modernità. Come non essere d’accordo? Però, mi chiedo: cosa centra tutto questo con le accuse martellanti rivolte dalla minoranza Pd al premier, reo di insidiare la democrazia italiana (riforma del Senato e Italicum) e i diritti dei lavoratori (Jobs Act)?

In altre parole, si può sul serio costruire un partito nuovo quando il suo leader attuale viene considerato un intruso, un inciucista, un trasformista?

Molti nemici di Renzi, interni o appena usciti dal Pd, lo incolpano di aver tradito la missione della sinistra, ovvero il suo ruolo di promotore e garante della giustizia sociale, decretandone in tal modo l’irrilevanza anche culturale. All’origine, una passiva adesione al paradigma della governabilità. Sempre in “discorde amicizia”, mi sia pemesso osservare che forse è vero esattamente il contrario: il crepuscolo della sinistra è in buona misura attribuibile a una certa inclinazione per esecutivi endemicamente litigiosi e ad una mai sopita avversione nei confronti del mercato. Basta leggere in modo onesto la storia repubblicana dell’ultimo ventennio per rendersene conto.

Mi sia consentito di aggiungere, inoltre, che è facile dare lezioni dopo che i buoi sono scappati dalla stalla. Perché si sapeva da lungo tempo che la sinistra domestica era rimasta arroccata nei fortilizi della politica novecentesca, senza comprendere che si stavano imponendo nuovi modelli di vita, nuovi comportamenti umani e civili, una nuova concezione dell’individuo irriducibile all’ideologia del vecchio (ancorché glorioso) partito di massa. Ebbene, se oggi è difficile “essere di sinistra” ci saranno pure delle responsabilità comuni: degli intellettuali, che hanno lisciato il pelo ai leader di turno e dei gruppi dirigenti, che si sono riprodotti secondo logiche autistiche e che hanno badato soltanto a tutelare le proprie rendite di posizione.

Insomma: fare le pulci a un Pd che non piace (quello di Renzi) può essere sempre utile. Ma nessuno di quanti ne hanno fatto parte – o che addirittura l’hanno fondato – ha il diritto di chiamarsi fuori (ma non è il caso di Cuperlo), come se ci fosse capitato per caso o di controvoglia. Se non altro, per ragioni di stile.


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