Non c’è pace per Angela Merkel. Sul fronte interno c’è il capo della Csu Horst Seehofer a metterle tutti i giorni i bastoni tra le ruote, che si tratti della politica sui profughi, della tassa sull’eredità o della politica energetica. Su quello esterno c’è il capo di stato turco Recep Erdogan sempre più aggressivo e minaccioso: ultima vicenda che ha portato a uno scontro tra Berlino e Ankara è il voto del Bundestag di giovedì scorso ha riconosciuto come “genocidio” il massacro perpetrato dai turchi nel 1915 nei confronti del popolo armeno. Ankara ha risposto immediatamente ritirando l’ambasciatore, ricordando ai tedeschi l’Olocausto e minacciando di boicottare l’accordo Ue-Turchia sui profughi.
Ma non è finita. Un’altra questione spinosa si affaccia all’orizzonte. Si tratta della Russia, o meglio delle sanzioni imposte nel 2014 dall’Ue al paese, in seguito dell’annessione della Crimea e del conflitto nel Donbas. La scadenza o il rinnovo è previsto a fine mese.
Angela Merkel non vuole sentir parlare di un allentamento, l’ha ribadito anche al recente vertice G7 tenutosi a Tokyo. La Kanzlerin non intende “contravvenire” al diktat di Washington: finché l’accordo di Minsk non sarà completamente implementato, non ci saranno cambiamenti. Una posizione condivisa, a sua volta da Federica Mogherini, Alto rappresentante per l’Ue per gli affari esteri e la sicurezza.
Ma non tutti la pensano così a Berlino. Di altro avviso è il ministro per l’Economia e capo dell’Spd Sigmar Gabriel, così come il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. In una recente “Giornata Russia” tenutasi a fine maggio a Rostock, Gabriel dichiarava: “L’esperienza ci insegna che un isolamento protratto non porta a nulla. Alla fine c’è solo una cosa che può aiutare: il dialogo”. Il ministro dell’Industria russo, Denis Mutolov dal canto suo sottolineava che è nell’interesse dell’economia e del commercio di entrambi i paesi sviluppare le relazioni, partnership, rafforzare gli investimenti e il commercio.
In effetti le perdite dall’entrata in vigore delle sanzioni sono state per entrambi alquanto dolorose. Sul portale di Deutsche Wirtschafts Nachrichten, che riporta le cifre snocciolate dal ministro per lo sviluppo economico Alexey Likhachev si legge: da 105 miliardi di euro nel 2013 si è passati a 52 miliardi di euro nel 2015.
Come scritto, il futuro delle sanzioni verrà deciso a fine giugno, ma anche se l’intenzione di Washington, Merkel e Mogherini è quella di prolungarle così come sono, non è detto che alla fine non vi sarà per lo meno un ammorbidimento, come chiesto da Gabriel. Il quale a Rostock, per non apparire troppo accondiscendente con il Cremlino, precisava che un allentamento dovrebbe andare di pari passo con l’attuazione completa del Protocollo di Minsk, cioè il completo cessate il fuoco nell’Ucraina orientale. Fino a oggi, infatti, il Protocollo è riuscito solo a “raffreddare” il conflitto ma non a spegnerlo. Anche Steinmeier si è cimentato nell’esercizio di un colpo al cerchio e uno alla botte. Così in occasione del Forum Russo-Tedesco tenutosi il primo giugno a Berlino ha sottolineato che l’annessione della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina Orientale non verranno mai accettati dalla comunità internazionale. Poco dopo sottolineava però che, non avendo le sanzioni sortito l’effetto desiderato bisognava cercare nuove vie. A parte il fatto che mettere in ginocchio uno stato non può mai essere una soluzione. Non ultimo perché “non sarebbe di certo un contributo alla sicurezza dell’Europa”.
Una posizione che trova sostenitori anche in Europa, dove l’insofferenza verso i diktat di Berlino o meglio di Angela Merkel monta di giorno in giorno. E così il tabloid Bild Zeitung scriveva a margine della “Giornata Russia” di Rostock: “Un numero crescente di dichiarazioni lasciano intravvedere una sorta di ammutinamento contro Merkel e l’Ue. Non c’è ombra di condivisione anzi. Sono sempre più numerose le voci che chiedono a Merkel un deciso cambio di rotta.”