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Ecco gli incubi economici della Cina

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Oltre che sulla questione Brexit, gli investitori continuano a rimanere focalizzati sulla situazione dei Paesi emergenti. Negli ultimi 10 giorni, i flussi di capitale verso i mercati azionari e obbligazionari dei Paesi emergenti sono aumentati dopo l’interruzione registrata a maggio. I flussi in entrata si sono ripartiti in modo equilibrato da un punto di vista geografico. In tale contesto, Françoise Huang, la nostra economista che segue la Cina, è recentemente tornata dalla Cina dove ha avuto la possibilità di incontrare un folto gruppo di società e funzionari. Il timing del viaggio è stato perfetto dato che le incertezze sulla futura politica cinese erano aumentate dopo che una persona “accreditata” aveva pubblicato un articolo sul People’s Daily in cui si sottolineava il pericolo di un aumento del debito a seguito delle recenti misure di supporto.

In molti credono che l’articolo sia stato scritto da Liu He, un consulente vicino al presidente Xi Jinping. L’opinione secondo cui la Cina non dovrebbe perseguire la crescita a qualsiasi costo, specialmente tramite un maggiore uso della leva, sembra in contrasto con la sostanziale accelerazione del credito nel primo trimestre dell’anno. Per tal motivo, alcuni osservatori politici hanno interpretato l’articolo come una critica al lavoro del premier Li Keqiang, alimentando, in tal modo, le voci su una presunta rivalità tra il presidente Xi e il premier Li. Sebbene preferiamo non entrare nel merito di tale dibattito, ci aspettiamo una linea politica più prudente in futuro. L’economia cinese dovrebbe, infatti, gradualmente rallentare entro alla fine dell’anno. Inoltre, un contesto più fragile e instabile potrebbe essere fonte di timori sul mercato valutario dato che la Fed dovrebbe aumentare i tassi nel secondo semestre.

In un contesto di tal tipo appare evidente che i problemi strutturali della Cina preoccupano la leadership. E a giusto titolo! L’industria metallurgica, chimica e automobilistica… diversi settori industriali in Cina presentano una situazione di eccesso di capacità produttiva. Si stima che il 13% delle società industriali (e il 30% di quelle controllate dallo Stato) siano in perdita. Recentemente, sono stati introdotti dei programmi ben strutturati per incentivare i governi locali a ridurre l’eccesso di produzione. Questi, però, rappresentano solo un primo sforzo, dal momento che la size del programma non è sufficiente. Il ritardo può essere spiegato da disaccordi politici. Il ritmo delle riforme potrebbe drammaticamente accelerare a fine 2017, quando un numero maggiore di personalità che hanno una view più riformista e che sono in buoni rapporti con il presidente Xi potrebbe essere incluso nella top leadership.

Eliminare l’eccesso di capacità e chiudere le società “zombie” significa dover trattare problemi sia sul fronte del credito che delle persone. I settori del carbone e dell’acciaio impiegano complessivamente solo l’1% della forza lavoro cinese. La concentrazione di licenziamenti in certe aree/settori, però, indica una difficoltà nel riallocare i lavoratori licenziati in altre settori dell’economia. Secondo noi, un aggiustamento drastico nei settori industriali potrebbe costare circa 20.000 posti di lavoro. In tale contesto, l’instabilità sociale potrebbe diventare una fonte di preoccupazione in futuro.

Nel breve periodo, tuttavia, i mercati sono maggiormente preoccupati per le prospettive del sistema bancario. La diffusa chiusura degli impianti metterebbe a rischio la qualità degli asset bancari. Il Fondo Monetario Internazionale stima che le potenziali perdite bancarie potrebbero ammontare al 7% del PIL. Dal nostro canto, riteniamo che il NPL ratio sia superiore al dato ufficiale (si veda il grafico sottostante). Un debito pubblico relativamente basso e l’abilità di stampare moneta significano che una crisi bancaria potrebbe essere evitata, soprattutto alla luce del fatto che il 70% dei prestiti cinesi sono garantiti dalle banche pubbliche.

Tuttavia, i timori sul debito cinese spingono gli investitori a non esporsi alle banche del Celeste Impero (e a quelle asiatiche in generale). Come dicevo la scorsa settimana, il crollo del prezzo delle commodity è già da solo un forte segnale della fine del ciclo industriale cinese. Se negli scorsi anni gli investitori hanno evitato i paesi emergenti legati al ciclo delle commodity, oggi è possibile estrarre del valore nel lungo termine, soprattutto esponendosi a paesi la cui valuta è sotto-valorizzata come Cina, Malesia, Russia e Thailandia.

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