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Tutti gli effetti della nuova intesa tra Israele ed Arabia Saudita

L’intesa sul nucleare iraniano ha spinto indirettamente Israele ed Arabia Saudita ad avvicinarsi vista la comune ostilità verso il regime iraniano e le sue ambizioni atomiche. Da tempo si era comunque assistito a un “allineamento” informale tra i due Stati.

Stando infatti a quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, già sei anni fa il direttore del Mossad si sarebbe incontrato in Arabia Saudita con i vertici dell’intelligence e della difesa sauditi per pianificare una possibile opzione militare per fermare il programma nucleare di Teheran, mentre secondo quanto riportato dalla rivista statunitense The Atlantic, tra il 2014 ed il 2015 rappresentanti dei due Paesi avrebbero avuto dei colloqui “riservati” sempre allo scopo di valutare le eventuali contromisure da adottare per contrastare i progetti atomici iraniani.

Inoltre, lo scorso anno l’ex-ambasciatore israeliano a Washington, Dore Gold, e l’ex-generale saudita Anwar Bin Eshki hanno poi partecipato ad una conferenza organizzata dal “Council on Foreign Relations” nel corso della quale entrambi hanno sottolineato i rischi che presenta per la regione la politica seguita dal regime iraniano, tanto che lo stesso Gold ha auspicato che le differenze tuttora esistenti tra Riad e Gerusalemme possano essere superate negli anni a venire.

I contatti sono andati intensificandosi a inizio di gennaio dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran innescata dall’esecuzione del predicatore sciita Nimr al-Nimr da parte di Riad.

Non a caso pochi giorni dopo la rottura tra Teheran e Riad, Dore Gold, divenuto direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano, parlando ad una conferenza dell’“Institute of National Securities Studies” dichiarava come “Israele fosse in contatto con ogni Stato arabo”. Una dichiarazione alla quale faceva seguito quella del Ministro degli Esteri sudanese Ibrahim Ghandour per il quale un accordo di pace con Israele poteva ora anche essere preso in considerazione.

TIRAN E SANAFIR 

La conferma della “cooperazione strategica” in corso tra Riad e Gerusalemme è arrivata ad aprile, quando l’Egitto ha restituito all’Arabia Saudita la sovranità su Tiran e Sanafir, due isole disabitate situate nel Golfo di Aqaba. Trasferite nel 1950 sotto il controllo egiziano – anche se il governo saudita non ne aveva mai ceduto la sovranità – per proteggerle maggiormente in caso di un eventuale attacco israeliano, le isole sono state occupate da Israele nel 1967 e poi restituite all’Egitto nel 1982 secondo le clausole degli accordi di Camp David.

E la conferma di come tra Gerusalemme e Riad sia in corso una sorta di “cooperazione strategica” per fronteggiare il regime di Teheran, è venuto lo scorso aprile dall’accordo con cui l’Egitto restituiva all’Arabia Saudita la sovranità su Tiran e Sanafir, due isole disabitate situate nel Golfo di Aqaba, un accordo che ha però suscitato forti proteste in Egitto in quanto considerato come un segno di debolezza da parte del Paese.

Ora l’intesa raggiunta tra le quattro parti interessate – Egitto, Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti – se da un lato permette al regime di al-Sisi di ottenere 16 miliardi di dollari d’investimenti da Riad, dall’altro segna appunto un ulteriore segnale di distensione tra Israele ed Arabia Saudita, visto che il governo saudita ha dato formale assicurazione scritta che intende preservare il diritto per le navi israeliane di attraversare lo Stretto di Tiran che costituisce la sola via d’accesso alla città di Eilat, anche se, va sottolineato come in base all’articolo V dello stesso Trattato di Pace, lo Stretto di Tiran ed il Golfo di Aqaba devono comunque considerarsi acque internazionali aperte senza limitazioni alla navigazione.

SVOLTA PER LA POLITICA ESTERA ISRAELIANA

Sul piano geopolitico, il riavvicinamento tra Gerusalemme e Riad rappresenterebbe una svolta storica per la politica estera israeliana che fin dalla nascita dello Stato ebraico aveva stretto relazioni strategiche con l’Iran e considerato al contrario con ostilità il regno saudita vista anche la sua forte impronta religiosa wahabita.

Ora però il quadro è radicalmente cambiato. Lo sviluppo del programma nucleare da parte del regime iraniano e l’appoggio che da tempo Teheran forniva al movimento sciita libanese degli Hezbollah, pur se appoggiato anche da Riad nel corso del conflitto del 2006, hanno spinto Gerusalemme a riorientare la sua politica verso l’Arabia Saudita che, al pari di Israele, guarda con preoccupazione alla politica iraniana e con sfavore alle aperture attuate da Obama nei confronti di Teheran.

Non è quindi un caso che in Israele, pur permanendo in alcuni commentatori lo scetticismo verso questa apertura nei confronti del regime saudita, l’atteggiamento dell’opinione pubblica stia cambiando, come dimostra un sondaggio realizzato lo scorso anno nel quale il 53% degli intervistati ritiene come sia oggi l’Iran il maggior pericolo per la sicurezza nazionale contro appena il 18% che invece considera l’Arabia Saudita una potenziale minaccia per lo Stato ebraico.

NETANYAHU RIAPRE IL PIANO DI PACE SAUDITA

Ed un’ulteriore segnale di apertura nelle relazioni tra i due Paesi è venuto dalla disponibilità espressa dal premier israeliano Benjamin Netanyahu a discutere il piano di pace saudita che riprende la proposta avanzata da Riad nel 2002 in base alla quale gli Stati arabi erano pronti a riconoscere Israele se questo si ritirava nei confini esistenti prima del 1967.

Allora criticato da Israele, il piano avanzato oggi, secondo Netanyahu, contiene invece elementi positivi capaci così riaprire il dialogo israelo-palestinese. Tuttavia, pur accogliendolo positivamente Netanyahu, che poco prima aveva nominato alla Difesa l’esponente ultraconservatore Avigdor Lieberman, ha comunque affermato come il piano debba essere “revisionato” per tenere conto dei cambiamenti avvenuti nella regione in questi ultimi quattordici anni, una proposta che però è stata però respinta dal Ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir.

Nonostante i segnali positivi, gli analisti ritengono però che il percorso verso una normalizzazione completa dei rapporti rimanga comunque ancora lungo e numerose questioni dovranno essere risolte prima che si giunga ad un formale riconoscimento diplomatico tra i due Paesi.

Rodolfo Bastianelli, giornalista e professore a contratto di storia delle relazioni internazionali, collabora con “L’Occidentale”, “Informazioni della Difesa”, “Rivista Marittima”, “Limes” ed “Affari Esteri”. Ha curato la politica estera per “Ideazione” e la rivista “Charta Minuta” della fondazione “Fare Futuro”.

(Articolo tratto dal sito AffarInternazionali)



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