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Finmeccanica, Airbus e Boeing, ecco gli effetti della Brexit per la Difesa

Il referendum in Regno Unito produrrà effetti che potranno essere pienamente apprezzati solo nel lungo periodo. Al momento, prevalgono incertezza e un certo grado di apprensione che coinvolgono inevitabilmente anche il settore della Difesa. La Brexit, tutta da definirsi in attesa degli accordi che regolino i prossimi rapporti tra Regno Unito e Unione europea, spaventa il comparto della sicurezza e della Difesa, britannico ed europeo, per almeno tre ragioni.

I NUMERI DELLA GRAN BRETAGNA

Prima di tutto, la preoccupazione per il settore è legata agli aspetti politici interni. Ciò che allarma gli addetti ai lavori, più dell’uscita dall’Ue, sono le dimissioni del primo ministro Cameron e del gabinetto che, lo scorso novembre, ha promosso la Strategic Defence and Security Review (Sdsr) nell’ambito della National Security Strategy. Dall’inizio del primo mandato, nel 2010, il governo Cameron aveva voluto fortemente il rispetto della quota, stabilita in ambito Nato, del 2% del Pil destinato alla Difesa. Il primo ministro ha, infatti, sempre sostenuto l’indissolubile connessione tra la prosperità economica del Paese e la sua sicurezza, dando garanzia di stabilità agli investimenti nel settore.

LA DIFESA PREOCCUPATA

Il timore è che l’uscita di scena di Cameron possa condurre a una minore attenzione al ruolo della sicurezza e della difesa e, di conseguenza, a una riduzione del budget (nel 2015 l’Uk ha speso 55,5 miliardi di dollari, pari al 2% del proprio Pil). Howard Wheeldon, consulente della Difesa di Strategic Advisory, ha detto a DefenseNews che l’impatto della Brexit nel breve periodo sarà minimo. Nel lungo periodo però, potrebbe essere notevole, legato a “chi diventerà il prossimo primo ministro – ha affermato Wheeldon – e se condividerà lo stesso approccio alla Difesa in termini di priorità”. Ai timori relativi alla successione a Cameron, si legano poi l’apprensione per la disgregazione interna. L’eventuale effetto domino sull’indipendentismo di Scozia e Irlanda del Nord comporterebbe una rivisitazione complessiva della struttura delle Forze militari britanniche in tutte le loro componenti. Per fare solo un esempio, basti pensare alla base della Royal Navy a Faslane, sulla costa a est di Glasgow, una delle tre basi operative della Marina di Sua Maestà, conosciuta per essere la casa della forza nucleare sottomarina della Corona britannica.

I TIMORI SULLA PRODUZIONE INGLESE

La seconda fonte di preoccupazione per il settore della Difesa è legata invece agli aspetti economici, evidentemente connessi alla dimensione politica della Brexit. L’incertezza prodotta dall’esito del referendum investe tutto il comparto produttivo del Paese, spaventato dalla prospettiva di recessione. La reazione dei mercati e l’ampio spazio lasciato agli affamati speculatori di certo non rassicurano gli investitori. Un quadro di generale rallentamento della crescita economica, infatti, potrebbe generare la riduzione degli investimenti, nazionali e internazionali. Se a ciò si aggiungono le suddette preoccupazioni di una riduzione del budget destinato alla Difesa, settore che in momenti critici viene considerato non prioritario, si può comprendere come il comparto tema una ricaduta notevole, traducibile in perdita di competitività e di posti di lavoro. “È irrealistico aspettarsi che il bilancio della difesa possa essere esentato dai tagli alla spesa che saranno probabilmente necessari in una spending review post-exit”, ha detto Malcolm Chalmers, vice direttore del think tank londinese Royal United Services Institute. Secondo Howard Wheeldon comunque, non ci saranno ricadute sui contratti attesi, il cui annuncio è previsto al prossimo Air Show di Farnborough, relativi sia ai P-8 di Boeing (aerei da pattugliamento marittimo) che agli Apache AH-64. Maggiori preoccupazioni invece per la definizione complessiva della strategia di Difesa, tra cui la sostituzione dei quattro sottomarini di classe Vanguard, dotati dei missili Trident. In questi termini, sarà forse opportuno rivedere la quinquennale Sdsr, elaborata solo sette mesi fa e ora da applicare in un contesto molto differente rispetto al quadro in cui era stata pensata.

IL PUNTO SUI GRANDI GRUPPI

Infine, l’apprensione del settore Difesa, riguarda la ricaduta sul contesto europeo e internazionale. Si teme prima di tutto la fuga degli investitori esteri. Grandi gruppi industriali, tra cui Airbus Group, hanno già espresso l’intenzione di rivalutare la propria attività nel Regno Unito. Lo stesso Mauro Moretti, amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica (presente nel Paese con l’ex AgustaWestland Uk e l’ex Selex Uk), ha ammesso che “i business in Gran Bretagna di Leonardo sarebbero ostacolati dalla Brexit e potremmo essere costretti a rivedere i nostri investimenti”. Probabilmente però, nel breve periodo gli impatti in questi termini saranno lievi, anche perché l’integrazione Europea sul settore Difesa è minima. Certo, nel lungo periodo, con l’Ue fortemente intenzionata a dotarsi di una propria competenza per sicurezza e difesa, il Regno Unito potrebbe risentire dell’esclusione, soprattutto in termini strategici, trovandosi sola a dover competere con Paesi come Russia e Cina.

LO SCENARIO GEOPOLITICO

Da questo punto di vista, un’analisi geopolitica di Guido Salerno Aletta su Formiche.net ha mostrato come, con la Brexit, il Regno Unito abbia in un certo modo reagito all’asse Parigi-Berlino e alla progressiva marginalizzazione in ambito europeo, preferendo tornare a un rapporto diretto con Washington e a un ruolo più forte nell’Alleanza Atlantica. Un altro scenario, forse più preoccupante per gli europeisti della Difesa, è l’effetto domino su altri Paesi, e sull’intero difficoltoso processo dell’integrazione europea. Tra qualche settimana dovrebbe essere presentata la Global stategy europea per la sicurezza e la difesa; l’8 e 9 luglio si terrà il Summit Nato di Varsavia e probabilmente in autunno la Commissione europea presenterà il piano d’azione per la difesa. L’esito del referendum potrebbe determinare una rivisitazione delle strategie e delle priorità europee in materia, rallentando i risultati di un dibattito difficoltoso i cui frutti sono attesi da tempo.

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