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Perché il fondo sovrano saudita punta su Uber

Nel mondo della finanza, i fondi sovrani sono esseri peculiari: capitali statali che ricorrono a strumenti capitalistici e rispondono a logiche talora politiche, talaltra private. Evocati soprattutto in riferimento agli interessi che li muovono, alimentano una copiosa letteratura che non di rado sconfina nella dietrologia vera e propria. Tra gli aspetti che li rendono degni di nota vi è tuttavia anche l’orizzonte di investimento, tipicamente di lungo termine, con una forte concentrazione su infrastrutture regolate come porti, aeroporti, autostrade. Alla radice di questa scelta temporale c’è, il più delle volte, la necessità di reinvestire la propria raccolta (leggi: petrodollari) a beneficio delle generazioni future, con un profilo di rischio contenuto e una politica di diversificazione.

L’investimento monstre del fondo sovrano saudita nella californiana Uber, messo a segno questa settimana , – 3,5 miliardi di dollari – sta facendo parlare molto le comunità degli scenaristi, i cui committenti chiedono di immaginare futuri alternativi per non essere colti impreparati dal domani. Al centro delle riflessioni degli scenaristi c’è proprio l’elemento temporale. Difficilmente Uber può essere considerato un paradigma a medio o lungo termine. Si tratta, a ben vedere, di una realtà ormai consolidata del presente. Più probabile, inoltre, che Uber assieme ai suoi emuli rappresenti un modello transitorio tra la vecchia domanda di mobilità e quella del futuro, dominata dal paradigma della autonomous car e dalla convergenza di questo con l’idea storicamente alla radice del trasporto passeggeri su rotaia: “Il mio tempo appartiene a me”.

È il dato che emerge con maggiore evidenza dall’illuminante intervista che il responsabile di Google in Germania, Philipp Justus, e quello delle ferrovie tedesche, Ruediger Grube, hanno recentemente concesso al settimanale WirtschaftsWoche. Per Grube, l’offerta delle ferrovie consiste nel mettere a disposizione dei propri viaggiatori tempo di qualità, di cui disporre liberamente. Man mano che le reti si faranno più capillari e intelligenti, il confine tra il trasporto su gomma e quello su rotaia sfumerà e gli operatori della rotaia svilupperanno appetito per l’asfalto. A fare la differenza saranno le infrastrutture tecnologiche e gli standard di trasmissione, ma anche le nuove regole, come quelle sulla responsabilità in caso di incidenti o sulla proprietà dei dati dei viaggiatori. E forse non è un caso se la California, patria sia di Google – pioniera nel campo delle autonomous car – sia di Uber, sia già il teatro di un braccio di ferro tra lobbisti. La California è il primo stato al mondo ad essersi dotata di una regolazione delle autonomous cars, ma le restrizioni che questa impone sono considerate molto severe. Tant’è che per la legge californiana il controllo del veicolo deve rimanere in mano a un uomo. Con tanti saluti all’autonomia della guida e allo slogan “il tuo tempo appartiene a te”. Ma forse non è che il primo tempo di una partita ancora tutta da giocare. E al fischio finale sarà forse meglio aver puntato sulle autonomous car e non solo su soluzioni transitorie.

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