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Tra i repubblicani cresce la fronda anti-Trump, che fomenta le divisioni

Cresce la fronda contro Donald Trump nel partito repubblicano, mentre il candidato in pectore alimenta le perplessità con prese di posizione discutibili sui fronti interno e internazionale ed esibisce, nei sondaggi, un’inattesa fragilità rispetto alla rivale democratica Hillary Clinton, specie dopo la strage di Orlando.

Sulla carta Trump non corre rischi: ha ottenuto nelle primarie ben più dei 1.237 delegati necessari per aggiudicarsi la nomination repubblicana. Ma la sua tendenza a dividere il partito e a polarizzare gli elettori rafforza le tentazioni di un blitz contro di lui alla convention di Cleveland (18-21 luglio) che deve formalizzare la nomination.

Il capogruppo repubblicano al Senato Mitch McConnell, numero due del partito, fra i primi notabili a prendere atto dell’esito delle primarie, dice che potrebbe ora revocare il sostegno a Trump, dopo gli attacchi razzisti a un giudice d’origine messicana. E la fronda godrebbe il sostegno prudente, se non addirittura d’una sorta di complicità, del presidente della Camera e leader del partito Paul Ryan, che presiederà la convention – una posizione che lui stesso minimizza: “Il mio ruolo, ora che Trump ha la maggioranza dei delegati e ha quindi vinto, è prevalentemente cerimoniale”.

Sostenitore contro voglia di Trump (“Debbo farlo, se no spaccherei il partito”, ha detto alla Nbc), Ryan indica, però, alla Cbs che non ostacolerà una ribellione dei delegati contro Trump: sono loro, spiega, a scrivere le regole della convention e la decisione su chi sarà il candidato “è solo loro”. Lui vuole “assicurare che la convention si svolga in modo onesto, chiaro e nel rispetto delle regole”: “L’ultima cosa che farò è dire ai delegati che cosa fare”, ossia ordinare loro di votare Trump.

In questo contesto, il magnate dà segni di nervosismo e accusa Jeb Bush: ”Sta complottando contro di me”. In un comizio, Trump dice: ”Sarebbe utile se i repubblicani ci aiutassero un po’”; e, invece, dietro alla rivolta dei delegati, ci sono due suoi ex rivali: Bush e Ted Cruz che però non nomina. ”Jeb sta lavorando al movimento. L’altro che ci sta lavorando dovrebbe essere scontato per voi”.

Che Ryan detesti Trump è cosa a Washington assodata, nonostante i riavvicinamenti formali. Però, lo speaker della Camera, possibile candidato alle presidenziali del 2020, non vuole essere il motore d’una spaccatura nel partito, che “si trova di fronte a una situazione molto strana ed unica”. Così, Ryan lascia ai delegati spazio d’iniziativa, ma anche responsabilità di quanto dovesse accadere.

TRUMP, SCHEDATURA DEI MUSULMANI E INVITI ALLA CASA BIANCA

Trump, dal canto suo, getta benzina sul fuoco delle divisioni negli Usa, dopo la strage di Orlando, continuando a denunciare l’integralismo islamico, mentre gli inquirenti inclinano al crimine dettato dall’odio per i gay, e sostenendo di essere favorevole alla ‘schedatura dei musulmani’, oltre che a impedirne l’ingresso nell’Unione”. Quanto alla vendita delle armi, il magnate oscilla tra il sì a maggiori controlli ed il no a qualsiasi limitazione dei diritti riconosciuti dal II emendamento della Costituzione americana.

Sul fronte internazionale, Trump, in dichiarazioni e interviste, continua a “corteggiare”, ricambiato, il presidente russo Vladimir Putin e apre pure le porte della Casa Bianca al leader nordcoreano Kim Jong-un.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)



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