I giornali italiani? Si fanno influenzare dalle banche. E più sono indebitati più sono sotto lo schiaffo degli istituti di credito. L’opinione del professor Luigi Zingales, uno degli economisti italiani più famosi negli States, è contenuta nel paper inaugurale del nuovo Pro-Market, il blog del Centro Stigler della Booth School of Business dell’Università di Chicago.
AL SERVIZIO DELL’EDITORE O DEL LETTORE?
“Circa trent’anni fa, Edward Herman e Noam Chomsky sostennero in un famoso libro che i media sono “istituzioni ideologiche efficienti e potenti che assumono una funzione di propaganda a servizio del sistema”. Alcuni giornalisti sono d’accordo. In contrasto, gli economisti tendono a non esserlo: in un mercato competitivo, i media rispondono alle preferenze ideologiche dei propri consumatori più che dei proprietari”. Dove sta la verità? Secondo Zingales, nel mezzo: se è più vero che i media rispondono alle domande dei consumatori quando si tratta di ideologia politica, lo stesso non si può dire in tema di business. “La maggior parte dei consumatori non hanno preferenze ideologiche su come trattare i derivati in una bancarotta o su come mettere a bilancio correttamente le fusioni. Dunque, in questi casi, i media possono più facilmente assecondare gli inserzionisti. E tuttavia finché c’è sufficiente diversificazione tra inserzionisti ed editori, i mezzi di comunicazione possono svolgere la funzione di informare in una maniera non condizionata, piuttosto che manipolare un particolare consenso”. Fino a che non interviene una crisi finanziaria: e se i giornali sono debitori, inevitabilmente i creditori avranno molta voce in capitolo nel direzionarli.
LA CRISI DI LIQUIDITà DELLE STAMPA ITALIANA
“L’attuale contesto italiano rappresenta un’opportunità unica per testare questa ipotesi: molti giornali italiani stanno perdendo soldi o sono pesantemente indebitati. Anche quelli che non lo sono hanno ragione di poter essere influenzati dagli interessi delle banche. Per esempio, Il Messaggero e Il Mattino sono proprietà di Caltagirone, un industriale che possiede una grossa fetta di Unicredit. Editoriale Espresso è controllata dalla famiglia De Benedetti, che sta negoziando con le banche il debito di un’altra delle loro società. Sorgenia. L’unico giornale che non ha né forti debiti né elevata dipendenza con le banche per ragioni diverse è Il Fatto Quotidiano”.
… E L’EFFETTO SUI CONTENUTI
Il test viene condotto su basi scientifiche: con un benchmark che è la stampa estera – pietra di paragone in quanto non influenzabile da questioni puramente domestiche – e prendendo a riferimento eventi in cui sono in gioco gli interessi delle banche, nel caso in oggetto decisioni governative una contro e una a favore delle banche. La prima è la legge del gennaio 2015 con cui il governo italiano ha obbligato le maggiori popolari a trasformarsi in spa, un cambiamento a cui i management interessati si sono opposti violentemente per paura di perde controllo. “Il secondo evento, che risale ad aprile 2016, riguarda la creazione del super-fondo sponsorizzato dal governo e chiamato Atlante, per mutualizzare le perdite bancarie su tutto il sistema finanziario. Governo e Banca d’Italia hanno usato la loro moral suasion per portare banche, fondi pensioni e assicurazioni a investire in un fondo che comprerà non performing loans. In parte è arbitraggio, ma in parte è anche il trasferimento delle perdite bancarie nei portafogli dei pensionati. Le maggiori banche hanno fortemente appoggiato la creazione del fondo”.
PRO ATLANTE, CONTRO DECRETO POPOLARI
Come hanno trattato i due eventi i giornali? Zingales ha raccolto tutte le notizie apparse nei primi 10 giornali italiani e nei primi 9 giorni da ciascuno dei due eventi, classificandoli in positivi, neutri e critici e confrontandoli con quelli apparsi nei maggiori sei giornali esteri. Risultato? “I giornali italiani sono fortemente a favore del fondo Atlante, mentre quelli esteri per lo più contrari. L’opposto vale per la trasformazione delle Popolari: la stampa italiana è contro, quella estera fortemente favorevole”. Ci vorrebbero molti più riscontri del genere per giungere a una tesi, e il professore lo chiarisce bene nel suo articolo, ma questo risultato è una prima prova che “le banche italiane esercitano pressioni sui giornali italiani affinché scrivano su questioni in cui esse hanno interessi diretti”. Non solo. C’è una correlazione evidente tra debito e opinione dei giornali. “I giornali meno indebitati hanno un’opinione più positiva del decreto sulle Popolari e quelli con maggior debito hanno un’opinione più negativa. Così, i giornali con più debito hanno opinioni più positive sul fondo Atlante e quelli più solidi hanno una viiew più negativa”.
COME AVVIENE IL CONDIZIONAMENTO
Come è possibile che questo avvenga? Ci sono diversi modi subdoli, spiega Zingales, per fare pressione. Il più pervasivo è agire sulle fonti. “Spesso i giornalisti non sono esperti della questione di cui scrivono e allora si basano sull’opinione delle fonti… quando le fonti sono tutte allineate su una opinione, inevitabilmente il giornale seguirà l’onda. Questa possibilità, in ogni caso, non può spiegare la differenza tra giornali italiani ed esteri. A maggior ragione i giornali esteri dovrebbero basarsi di più sulle fonti, perché hanno meno conoscenza della situazione italiana. Eppure sembrano più obiettivi”.
La seconda possibilità è che gli editori selezionino le opinioni da pubblicare sulla base della pressione esplicita o implicita della banche. “Per sondare questa eventualità ho analizzato il maggior giornale italiano, nonché il più indebitato, Il Corriere della Sera. Ho notato che due commentatori economici avevano espresso la loro view negativa sul fondo Atlante altrove, su un giornale estero e su un magazine online, ma non avevano pubblicato niente sul Corriere. Questo è coerente con la selezione dei commentatori in maniera pro-banche”. Impossibile arrivare a conclusioni definitive con una ricerca così limitato nello spazio e nel tempo ma c’è “abbastanza perché l’Antitrust italiana apra un’indagine”, conclude Zingales.