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Il dito e la luna. A proposito della strage di Orlando

E se fosse stato un fanatico cristiano l’autore della mattanza di Orlando? Probabilmente, anzi sicuramente i commenti sarebbero stati ben diversi, per tono e contenuto. E alti si sarebbero levati gli ululati contro una religione che, con buona pace di Papa Francesco e del chi-sono-io-per-giudicare (frase per altro strumentalizzata all’inverosimile), ancora non ne vuol sapere di mettersi al passo con la storia e la modernità. E giù a ricordare le crociate l’Inquisizione i roghi delle streghe e Galileo e quei puzzoni dei conquistadores eccetera eccetera eccetera. Ma siccome c’è di mezzo l’islam, per la stragrande maggioranza dell’occidente colto evoluto ben pensante e, soprattutto, fedele al mainstream del politicamente corretto, la strage di Orlando compiuta da Omar Mateen e rivendicata dai quei bravi ragazzi dell’Is, rappresenta un problema grosso come una casa. Di qui la corsa ai distinguo, alle contestualizzazioni, alle cautele; di qui il tentativo, goffo e malriuscito, di spostare il baricentro altrove, di guardare come al solito al dito per non vedere la luna. Il dito essendo, manco a dirlo, l’omofobia, l’odio per il diverso, le pulsioni retrive dell’america profonda che nonostante decenni di battaglie e conquiste civili resta un paese di bigotti cresciuti col mito di John Wayne. Non vedendo, o facendo finta di non vedere, appunto, la luna, ovvero il fatto che la carneficina di Orlando porta indelebile l’impronta del fondamentalismo islamico, e che tutto l’odio e il rancore che Omar Mateen ha rovesciato addosso ai quei poveri malcapitati non si spiega senza la sua matrice islamica. Una matrice che nel caso dell’Is e di tutte le varie forme di integralismo assume la maschera truce dell’ideologia teocratica in nome della quale gli omosessuali a Raqqa vengono scaraventati giù dai tetti, in Iran impiccati, altrove imprigionati e perseguitati. Anche per questo chi in queste ore si attarda in improbabili quanto vaghe condanne delle religioni facendo di tutta l’erba un fascio, sbaglia due volte. Primo, perchè il cristianesimo, checchè se ne dica (in primis in certi ambienti ecclesiali sempre pronti a legare il cilicio sui propri e altrui maroni, in un atteggiamento di perenne mea culpa manco la chiesa fosse l’unica vera colpevole di tutto il marcio della storia), in venti secoli di strada ne ha fatta parecchia come sa chiunque conosca anche superficialmente la storia ed abbia un minimo di onestà intellettuale. Secondo, perchè l’occidente (e non solo) non andrà da nessuna parte finchè continuerà a baloccarsi nel calduccio dell’islamicamente corretto, come ha ricordato sul Foglio di oggi Claudio Cerasa con la consueta lucidità: “…l’unica battaglia possibile per combattere alla radice il fondamentalismo di matrice islamica non è mettere tra parentesi la parola islamico accanto alla parola terrorista…ma è chiamare le cose con il loro nome, è guardare in faccia la realtà ed è denunciare l’obbrobrio autolesionista e negazionista dell’islamicamente corretto”. Il che signfica una cosa molto semplice: “Gli atti di terrorismo compiuti da estremisti islamici non possono essere considerati sempre come dei gesti isolati ispirati dalla mente di un pazzo omicida ma devono spesso essere considerati per quello che sono: degli atti che riflettono anche alcuni principi che si trovano nel Corano”. Chiamare le cose per nome, senza indulgere in letture ideologiche falsamente consolatorie o, peggio ancora, in un irenismo miope e inconcludente dietro cui spesso e volentieri si cela più lo “scandalo della croce” di paolina memoria che una sana aspirazione alla pace: se l’occidente vuole avere una qualche chance di sconfiggere il terrorismo islamico, condizione necessaria (anche se non sufficiente) è l’adozione di un approccio improntato ad un sano realismo. Da questo punto di vista un marcia imponente, un gay pride speciale per denunciare, come ha proposto Cerasa nell’editoriale di oggi, “una volta per tutte i danni e gli orrori dell’islamicamente corretto e non coprirsi gli occhi con una spilletta colorata”, sarebbe un primo segnale importante nella direzione di un cambio di rotta. E se si fa, stavolta mi metto in prima fila.


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