“Atlante? Un ritorno agli anni Trenta”. Così la pensa il professor Giovanni Ferri, ordinario di scienze economiche all’Università Lumsa di Roma. “Ci troviamo in una situazione molto simile – dice Ferri a Formiche.net – a quella in cui si trovò chi, ai tempi, istituì l’Iri: ma la cosa non deve essere vista necessariamente come un male, anzi”.
Dunque, un ritorno al passato potenzialmente virtuoso?
Sì, se il fondo Atlante avrà poi la potenza di fuoco sufficiente alla portata degli interventi a cui sarà chiamato.
Facciamo un passo indietro: ci spieghi somiglianze e differenze tra Atlante e Iri e tra oggi e anni Trenta.
Negli anni ’30 in Italia ci fu una crisi per molti aspetti simile a quella attuale. Le similitudini sono relative al crollo del pil e dell’attività economica, ma ci sono anche delle differenze. In ogni caso, anche negli anni ’30 le banche si trovarono con gli attivi immobilizzati perché erano zeppe di sofferenze. L’Iri fu creato proprio per smobilizzare questi attivi.
L’Iri però era un ente pubblico, diversamente da Atlante.
Certamente, un intervento pubblico di natura privatistica. L’Iri doveva essere un intervento straordinario: fu creato nel 1933 ma divenne organismo stabile nel 1937 perché l’idea iniziale era di acquisire le immobilizzazioni nelle banche e una volta che i mercati si fossero normalizzati rivenderle a un prezzo superiore, evitando di far fallire gli istituti di credito. Che poi, nella sostanza, è quello che sta facendo Atlante. La differenza è che si tratta di un soggetto privato che però ha anche una essenziale componente pubblica attraverso la partecipazione di Cdp. Dal punto di vista degli equilibri delle banche l’azione di Atlante sarà analoga a quella che compì Iri: rilevare le sofferenze a un prezzo superiore di quello che le banche riuscirebbero a vendere sul mercato. Ed evitarne il fallimento.
Qualcosa che in effetti è già avvenuta a novembre con le quattro banche territoriali, prima della costituzione del fondo salvabanche.
Se le sofferenze delle banche italiane fossero oggi valutate ai valori delle quattro banche territoriali salvate a novembre (17,5%) come voleva il mercato, invece che al 40%, varie banche rischierebbero oggi di entrare in dissesto. Ora tocca alla Popolare Vicenza e a Veneto Banca, che saranno i primi grandi interventi di Atlante. Il fondo di fatto si sta assumendo il rischio che i mercati non ritocchino i prezzi al rialzo, nel qual caso Atlante non sarà capace di assicurare un rendimento sulle attività rilevate e avrà bisogno di maggior capitale da parte di coloro che hanno aderito, banche e Cdp e alla fine potrebbe non essere un intervento con mezzi sufficienti a meno che non venga ulteriormente capitalizzato.
Qui però parliamo in fondo di piccole banche. L’Iri intervenne per salvare quelle che ai tempi erano le banche di sistema…
L’Iri rese liquido l’attivo della Comit (che poi è finita dentro Intesa, con Cariplo, e con Sanpaolo confluita in Intesa Sanpaolo, ndr), Credito italiano e Banco di Roma (poi confluite in Unicredit), che erano le tre principali banche dell’epoca. Diede liquidità a queste banche a fronte di capitali illiquidi prendendo in cambio azioni delle stesse. Quindi i tre istituti divennero di fatto proprietà del’Iri che in un certo senso ne aveva garantito la sopravvivenza. Quello che sta accadendo adesso tecnicamente è simile: perché Atlante ha garantito le emissioni di azioni di Vicenza e Veneto banca e siccome il mercato non c’è stato per comprare quelle azioni si sta ritrovando dentro il proprio attivo le azioni di queste banche che di fatto sono controllate da Atlante. Ovviamente Vicenza e Veneto non sono comprabili al sistema degli anni 30, ma potrebbe essere l’inizio per andare in quella direzione. Intendo dire, se domani altre banche avessero bisogno di aumenti di capitale, come possibile, Atlante potrebbe intervenite se ha spalle larghe.
E potrà effettivamente intervenire, secondo lei?
Farlo dentro la normativa europea perniciosa del bail-in sarà difficile. Ma ritengo che in tal caso dovrebbe essere fatto. Alla fine l’Europa dovrebbe fare i conti con la realtà e accettare che non si può far saltare una banca, anche di media dimensione, se si vuole evitare uno sconquasso.