Il risveglio del paziente inglese, il giorno dopo, è stato brusco e febbricitante: forse per la prima volta ha realizzato di essere uscito da un’Europa in cui col suo cuore non era mai entrato. E nella quale, se il paziente troppo impaziente fosse invece rimasto, avrebbe goduto di un trattamento super-privilegiato rispetto agli altri 27 Paesi, offerto dall’Unione proprio per evitare alla Gran Bretagna di farsi tentare da un addio già pieno di rimpianti. E allora di fronte al fatto compiuto dell’ormai celebre Brexit appena decretato dalla maggioranza del popolo sovrano, ecco affiorare a Londra e scossi dintorni i primi dubbi e ripensamenti. Perfino la richiesta di tanti di rifare il referendum perché -vuoi vedere?-, tutto sommato la realtà non era poi tanto male. La realtà di far parte di una comunità politica di popoli che hanno fatto dello sviluppo e della libertà la bussola di un destino di storie e geografie, di lingue e tradizioni segnate per secoli e adesso disegnate all’insegna dell’Erasmus: l’istituto più leggero eppur profondo che ci sia, perché è dedicato ai giovani per studiare e per viaggiare. L’Europa è il futuro della memoria.
Chissà, dunque, se il paziente inglese ora alle prese coi tardivi pentimenti dopo aver rotto il giocattolo, e che giocattolo aveva in mano!, a lui solo regalato, potrà influenzare gli spagnoli oggi alle urne con un occhio rivolto all’incertezza di Madrid, dove da sei mesi il governo non governa a causa delle precedenti elezioni senza vincitori né vinti, e con l’altro alla tempesta oltre la Manica. Se l’Europa non tornerà ad essere il condominio sicuro dei suoi cittadini, la prospettiva di un lavoro per la sua gente, il luogo dove poter sognare, amare, intraprendere e darsele a pallonate -vedi l’Europeo di calcio in Francia, dove ogni nazione spera nella sua Nazionale-, se l’Unione non cambierà la guida a trazione tedesca e le abitudini dell’oligarchia di Bruxelles che pretende di insegnarci a vivere, allora la Gran Bretagna sarà stata l’inizio della fine. Eppure, Brexit potrebbe essere, al contrario, la fine di quell’inizio anti-europeo che da troppo tempo sta contagiando l’opinione pubblica, dando linfa e pretesti a movimenti euroscettici ovunque: e ne vedremo i riflessi perfino nell’europeista Spagna. Basta con l’Europa che antepone il cieco dogma dei conti in regola (ma sempre e solo “per gli altri”), alla crescita. Impariamo dal paziente inglese per curare la malattia in tempo.
Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto da www.federicoguiglia.com