Oggi ospiti di “In Mezz’Ora” di Lucia Annunziata c’erano i candidati sindaco ai ballottaggi nelle grandi città italiane di Torino, Milano e Roma. Tre mezz’ore davvero interessanti che mi hanno permesso di fare un’analisi del discorso più o meno approfondita.
In questo articolo quindi cercherò di discutere di tre aspetti delle interviste: 1) i contenuti, cosa è stato concretamente detto dalle candidate e dai candidati rispondendo alle domande della conduttrice. Quindi non solo ciò che è stato detto esplicitamente, ma anche cosa non è stato detto; 2) lo stile comunicativo, cioè in che modo sono stati espressi i concetti; 3) la meta-comunicazione: a chi stavano realmente parlando dicendo quel che dicevano? Non farò un’analisi approfondita, mi limito ad esprimere una valutazione complessiva e ad evidenziare gli aspetti peculiari di ciascuna delle “mezz’ore”.
Prima di tutto i contenuti. I programmi politici sono spesso densi di contenuti, proposte che possono essere più o meno fattibili, più o meno suggestive e così via. Il pregio di un’intervista breve è che si dovrebbe prediligere alla retorica, che richiede tempo per creare suggestioni e scenari, la schiettezza delle risposte. Ne deriva da un lato che il telespettatore può capire meglio chi ha qualche cosa da dire e chi no, chi è in grado di argomentare in modo sicuro i temi della propria campagna e chi no, ma di contro si perde la possibilità dell’approfondimento. Si tratta di una tendenza assai scontata della comunicazione mediale. Sempre meglio dei 160 caratteri ti Twitter. Il confronti tra Piero Fassino e Chiara Appendino è stato quello più preciso dal punto di vista dei contenuti a mio avviso. Entrambi si sono basati sui fatti. Questo dipende, probabilmente, dal fatto che entrambi sono nella politica della città da diversi anni, Fassino come sindaco uscente e Appendino come consigliera di opposizione. Entrambi precisi e chiari nelle loro risposte, entrambi molto credibili e preparati. Gli altri due confronti, invece, sono stati meno precisi e basati sui contenuti: Beppe Sala e Stefano Parisi si sono trattati coi guanti di velluto entrambi, le critiche che si sono fatti l’un l’altro erano assai delicate. E su questo torniamo. Virginia Raggi e Roberto Giachetti, invece, si sono scontrati in modo assai forte, apparentemente sui contenuti, nella sostanza si son mantenuti, entrambi, su un piano assai confuso del cosa fare e del come. Anche su questo torneremo.
Lo stile di comunicazione. Qua la cosa si fa molto interessante. Il confronto tra Raggi e Giachetti è stato quello più “verace”. Diciamo di pancia. Da un lato una distanza quasi arrogante da parte della candidata 5 stelle nei confronti dell’interlocutore. Dall’altro un approccio, non ben riuscito, di piacioneria. Il dibattito è stato, rispetto agli altri, decisamente disordinato e retorico. Nella sostanza si son sentite critiche a vicenda, più o meno buone intenzioni da entrambe le parti, un elenco più o meno lungo di cose da fare, ma il tutto in secondo piano rispetto allo scontro vero e proprio, quasi personale, tra i candidati. Anche la conduttrice non ha aiutato, perché è partita con una domanda che ha abbassato immediatamente il livello della discussione su un piano personale. E questo ha condizionato l’intero dibattito. I rumori degli scatti dei fotografi poi in sottofondo era fastidiosissimo. Credo, inoltre, che aver basato il contenuto della discussione sulla questione delle olimpiadi sia stato poco interessante. E gli argomenti a sostegno delle olimpiadi erano da parte di Giachetti deboli. Di contro assai poco convincente il tentennamento della Raggi. Segno che le idee non ce le ha proprio chiare. Detto ciò, le Olimpiadi non sono un male di per sé, ma alle condizioni date è davvero bene non farle. Ma su questo si apre un capitolo a parte e non c’entra con questo articolo. Gli altri confronti son stati invece caratterizzati da un approccio molto ordinato, rispettoso e concentrato sulle questioni pratiche e programmatiche.
Il terzo punto: la meta-comunicazione. Che significa? Significa il tentativo di andare “oltre” quello che viene comunicato. Sì, perché quello che è emerso in questi tre confronti è interessante anche da questo punto di vista. A chi si stavano rivolgendo le candidate e i candidati mentre parlavano? Il come e il cose acquistano un significato diverso se osservati alla luce della meta-comunicazione. Cerco di essere chiaro e breve:
1) Appendino che è la sfidante in svantaggio per Torino ha parlato all’elettorato ampio del centro-destra, quello moderato e borghese oserei dire. Con linguaggio ricercato e molta pacatezza. Ha incalzato Fassino, che è uomo esperto, tenendosi sempre sui contenuti. Toni pacati ma molto decisi. Da questo confronto esce bene: Fassino cerca di far pesare l’esperienza e l’età e questo non credo sia stata una mossa saggia. Appendino ne esce come una candidata competitiva, preparata non solo perché ha una laurea in economia alla bocconi che l’Annunziata ricorda spesso, ma anche per la sua conoscenza dei problemi della città. Da questo ballottaggio prevedo un esito con uno scarto minimo tra i due. Appendino può convincere la parte moderata del centro destra “bene” di Torino.
2) Sala ha provato a parlare alla sinistra. Ha citato Colombo, ha sottolineato l’ottimo risultato della giunta Pisapia e ha cercato di evidenziare uno stile del tutto diverso dal competitore, Stefano Parisi. L’elemento interessante è stato aver detto “il sindaco non è un amministratore delegato”. Un qualche cosa che non è detto a caso da parte di un Manager a un altro Manager. No, è detto per rassicurare la parte progressista e di sinistra dell’ampia coalizione che lo sostiene e sosterrà a questo ballottaggio. Parisi dal canto suo ha rimarcato invece l’elemento della “autonomia”. Un approccio aziendale che fa presa sull’elettorato tradizionale di Berlusconi ma che conquista senza problemi anche quello di Salvini. Il ballottaggio qua è davvero complesso, l’ago della bilancia, come osserva Annunziata, è l’elettorato del M5S che probabilmente si dividerà in tre segmenti: uno ampio che non vota e due piccoli che appoggeranno Sala e Parisi. In questo caso, considerando il risultato del primo turno di essenziale pareggio, la comunicazione è abbastanza chiara e univoca: rassicurare il proprio elettorato di riferimento. Una posizione quindi di consolidamento. Vincerà, con un margine comunque minimo di differenza, il candidato che saprà ri-mobilitare le proprie elettrici e i propri elettori.
3) Virginia Raggi parla chiaramente alla Destra. Lo fa in modo esplicito con i continui richiami al governo di centro-sinistra delle amministrazioni precedenti ed utilizzando un approccio perentorio, duro, quasi di disprezzo nei confronti di Giachetti e del PD in generale. Un disprezzo che si unisce ad alcune osservazioni fondamentali: lo sgombero dei campi Rom, l’accertare i patrimoni, il riferimento alle “macchinone” e dunque una retorica leghista molto forte. Rispetto ad Appendino, per esempio, raggi gioca sulla questione identitaria: dai contenuti si passa rapidamente allo stile di comunicazione a cui ci hanno abituati Salvini e Meloni in questi ultimi tempi. E proprio a quell’elettorato punta la Raggi. Giachetti, di contro, cerca di giocare in difesa prendendo le distanze da chi c’era prima e di fatto dal PD locale. Con tutti i problemi che ci sono stati è il minimo che può fare. Il problema è che non può far leva su una questione identitaria. Non ha nemmeno il linguaggio per rivitalizzare questo senso di appartenenza della sinistra. E di fatti, non credo che riuscirà a mobilitarli. Sarà una scelta che eventualmente quegli elettori prenderanno facendo un ragionamento: la Raggi e la destra no! In questo caso il ballottaggio è complesso per Giachetti. Anche la retorica dei giochi olimpici, del passato glorioso, degli anziani nostalgici, non regge.
In conclusione, questi tre confronti sono lo specchio di cosa accade ora in Italia, della direzione presa dalla Politica. C’è un movimento relativamente nuovo che sta guadagnando terreno con uno stile di comunicazione diversificato, molto variegato al suo interno e che mira a un elettorato non uniforme. Il M5S non ha un’identità, cambia pelle in base all’occorrenza. Gli elementi però fermi sono: la questione anagrafica (e su Torino questo peserà); la questione della “purezza” per loro che possiamo tradurre come “legalità” in termini più laici (e questo peserà molto a Roma); la retorica di pancia, ossia il far leva su aspetti pre-politici, non saprei come altro definirli. Questo è palese a Roma, dove la candidata martella in modo ossessivo su aspetti di rottura col passato, del bisogno di un cambiamento radicale e di purezza totale (!). Di contro, abbiamo due forze politiche tradizionali (anche se il PD esiste formalmente dal 2007-2008) che cercano prima di tutto di tenere le proprie elettrici e i propri elettori con grande difficoltà, dove il ricambio generazionale è debole e dove i campi identitari, che erano comunque la base forte dell’appartenenza, si sono liquefatti o quasi.
Questi ballottaggi ci diranno molto della situazione attuale. Queste sono solo congetture e analisi parziali. Solo il 19.06 sapremo se erano valide o meno.