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Non si fa la guerra a Isis con i tartufismi politicamente corretti

Barack Obama non conosce Alessandro Manzoni. Ne siamo convinti. E a sentire le sue reazioni all’attentato di Orlando, questa convinzione diventa certezza. Se avesse letto una delle frasi più celebri del grande scrittore italiano, non avrebbe ceduto alla dittatura del politicamente corretto. La frase suona così: “Il buon senso esiste, ma sta nascosto per paura del senso comune”.

Il buon senso dice che ammazzare in nome di Allah e di Maometto suo annunciatore, è diventata l’arma principale dell’islamismo politico, fondamentalista in dottrina, teocratico in politica, radicale fino al martirio. Un fenomeno massiccio ed esteso, con un crescendo agghiacciante fin dagli anni ‘90, ma che non nasce adesso, come dimostra una lunga lista di studiosi occidentali e orientali, cristiani, musulmani o atei. Per il presidente degli Stati Uniti, però, non bisogna dirlo. Il jihad non c’entra niente con l’Islam e il terrorismo non c’entra nulla con il jihad, questo sostiene il senso comune politicamente emendato (definirlo corretto sarebbe scorretto, scusate il gioco di parole).

Eppure il buon senso suggerisce il contrario, sorretto questa volta da montagne di libri e da una spaventosa realtà. Ma la pruderie dei sepolcri imbiancati peggiora la situazione al punto da farci chiudere gli occhi su quel che sta accadendo.

Prendiamo l’Isis. Anche qui è p.c. (politicamente corretto) chiamarlo “cosiddetto Stato islamico” o Daesh (che poi non cambia la sostanza). E come nella tarda scolastica, il dibattito sui nomi finisce per far perdere di vista la sostanza. Quel che sta accadendo in queste settimane (purtroppo non trova sufficiente spazio sui mezzi d’informazione di massa) lo dimostra. Il Califfo (autoproclamato direbbe il p.c.) avrebbe dato l’ordine ai suoi combattenti di ritirarsi dall’Iraq e dal nord est della Siria (per recarsi in altri Paesi, non si conosce quali, secondo quel che scrivono alcuni siti islamisti). In Iraq le truppe sostenute dagli Stati Uniti stanno riconquistando uno ad uno i fortini dell’Isis, in Siria l’avanzata dei russi stringe la morsa attorno ai combattenti del Califfato (cosiddetto). Lo stesso accade, a quanto pare, in Libia dove gli armati del governo provvisorio (sostenuto dall’Italia, tra l’altro) ottengono risultati che i politicamente corretti fino a ieri ritenevano impossibili.

Speriamo che l’annuncio di una ritirata, generale quanto disordinata, sia vero. Lo vedremo nelle prossime settimane. Se così fosse, bisognerebbe trarre alcune lezioni: primo, l’islamismo radicale si può battere quando si è decisi a farlo; secondo, solo accettando in base al buon senso quel che il senso comune negava, cioè che esiste una formazione statual-territoriale (per quanto debole o in fieri), è stato possibile organizzare la controffensiva. I successi sono arrivati solo dopo che si è deciso di mettere gli scarponi sulla sabbia direttamente (come hanno fatto i russi in Siria) o più indirettamente (usando gli sciiti, come gli americani in Iraq). E’ una guerra tradizionale quella contro il Califfato, una guerra clausewitziana (ancor più nel caso dei russi) che non sarebbe stata possibile negando l’esistenza di uno Stato (sia pur in progress) con il suo esercito (per quanto composto di guerriglieri). Una guerra imbevuta di realpolitik, persino di alleanze con “il diavolo” (si pensi all’Iran) o di convergenze parallele (con Putin).

Lo stesso discorso si può fare per il terrorismo islamico penetrato in Occidente. Se non si identifica il nemico e non si conosce chi e che cosa combattere (né perché), non si potrà mai vincere. E il nemico a questo punto è chiaro, anche se magari vive accanto a noi, è nostro vicino di casa, si diverte nella discoteca dove andiamo a scaricare le nostre pulsioni (gay o non gay poco importa). Gli identikit dei terroristi che hanno attaccato in Francia, in Belgio, in Inghilterra, in Spagna, negli Stati Uniti, non lasciano dubbi né sui loro profili sociali né sulle loro motivazioni ideologico-religiose. Saranno anche lupi, ma non così solitari: al contrario, si sentono partecipi di una rete globale, immaginano di essere gli annunciatori di un nuovo mondo, sono convinti che il martirio sia un passaggio necessario per il trionfo del jihad. Senza accettare questi punti fermi, al di là di sociologismi vittime del p.c., non saremo in grado di attrezzarci per una battaglia, politica, culturale e militare, molto più vasta e difficile che la ordinaria operazione i polizia (visto che questo scontro non ha nulla di ordinario che possa essere risolto con più agenti o più reparti speciali).

Ora che passerà il resto della sua vita in conferenze pagate profumatamente, Barack Obama avrà il tempo di leggere Manzoni (ci sono ottime traduzioni critiche in inglese). Ce lo auguriamo, anche se ormai la frittata è fatta e un clownesco personaggio, Donald Trump, può presentarsi come l’uomo che interpreta il buon senso dei nostri tempi. Ironia della storia che costerà comunque cara anche se alla fine vincerà Hillary Clinton.


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