Dal cilindro del prestigiatore, al tavolo del confronto Governo-Sindacati, è uscita la proposta che consentirebbe di andare in pensione con due o tre anni di anticipo senza toccare la riforma Fornero.
Il meccanismo, per la verità già preparato dall’ex ministro del Welfare Giovannini ai tempi del Governo Letta, prevede che il lavoratore contragga un prestito: il provento che incassa gli servirà per campare i due o tre anni che gli mancano prima di avere la pensione. A quel punto, comincerà a rimborsare il prestito, per vent’anni.
In pratica, ci si fa anticipare da una banca o da un altro istituto finanziario una somma che sarà garantita dalla pensione: è una sorta di “mutuo sulla pensione”. Come l’ipoteca sulla casa garantisce il rimborso delle rate, così accadrebbe sulla pensione. Il problema è garantirsi che il mutuatario campi abbastanza a lungo: immaginando che il lavoratore contragga il prestito a 63 anni, e che riceva il primo rateo di pensione a 66 anni, finirà di rimborsare il prestito ad 86 anni.
Il rischio che il “pensionato mutuato” non sopravviva abbastanza a lungo per rimborsare tutto il debito contratto innescherà l’intervento di una assicurazione: e così oltre al capitale, con gli interessi, per rimborsare il prestito ci sarà da pagare anche un premio assicurativo contro il rischio della premorienza.
Comunque la si giri, sembra proprio che sia il business finanziario-assicurativo a spingere la proposta: le banche, oggi, non sanno più a chi prestare i soldi. Non alle aziende, ché magari falliscono; non ai lavoratori, ché magari perdono il posto. E poi, non sanno su che cosa rivalersi, tra le aste immobiliari deserte e le garanzie che scemano di valore: se pure si erano fatte dare in pegno delle azioni, con la fibrillazione in Borsa degli ultimi mesi, valgono molto di meno.
Ai tassi di interesse praticati in tempi normali, su un mutuo immobiliare a 20 anni una banca incassa il doppio di quanto ha prestato. Con il mutuo sulla pensione pensano di aprire un nuovo bingo.
Un bel “mutuo sulla pensione” è davvero una ideona: le banche sono contente, perché si passa tutta la vita a pagare rate; prima per comprarsi casa, poi per andare in pensione un paio d’anni prima. Poi, per pagare le tasse sull’eredità, il randello che gira vorticosamente da tempo sulla nostra testa.
Magari, anche stavolta finirà come la norma che prevede la possibilità di mettere il TFR in busta paga, che quasi nessuno ha accettato.
Gli italiani sono un popolo mal visto dalla comunità finanziaria: si indebitano poco, per principio. Per spezzarci le reni si sono dovuti inventare il debito pubblico gonfiato dal divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia e la speculazione finanziaria sugli spread negli anni scorsi.
(Estratto di un articolo pubblicato su Teleborsa.it)