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A che punto è la riforma matrimoniale in Vaticano

Agnelo Bagnasco e Jorge Maria Bergoglio

Niente. Non decolla proprio. La riforma matrimoniale voluta da Papa Francesco, capace di concedere la nullità speedy delle nozze, non riesce a partire: tanto che Santa Sede e Conferenza episcopale italiana hanno dovuto aprire un tavolo di lavoro per la definizione delle principali questioni interpretative e applicative di comune interesse, relative alla riforma del processo matrimoniale introdotta dal motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus che ha introdotto la nullità extrarapida (in teoria, in appena tre mesi, un vescovo potrebbe accertare che il matrimonio tamquam non esset, è come se non sia mai stato celebrato). Il tavolo di lavoro sarà coordinato dal Segretario Generale della Cei, cioè dal vice di Angelo Bagnasco, monsignor Nunzio Galantino.

Perché il problema è di natura tecnica: l’Italia aveva il sistema (che funzionava, sia pure con una certa lentezza e un certo aggravio nei costi per i ricorrenti) dei Ter, i Tribunali ecclesiastici regionali istituiti con norma speciale da Pio XI nel 1938, che è stato scardinato dalla riforma. E le diocesi, specie quelle medio-piccole, sono rimaste in mezzo al guado. Per esempio: nel Lazio una raccomandata inviata da Roma al tribunale diocesano di una piccola diocesi locale è tornata indietro per compiuta giacenza all’ufficio postale. Pensate: nessuno è andato nemmeno a recuperarla. La raccomandata conteneva una rogatoria canonica: una lettera, cioè, di richiesta di collaborazione da parte di un altro tribunale (quello della piccola diocesi, che si era reso autonoma) per l’istruzione della causa e la notifica degli atti. Una richiesta rimasta, si racconta Oltretevere, lettera morta.

Nella lettera inviata dal Papa a Galantino il 1° giugno scorso, l’eco delle disfunzioni è avvertibile. Il Papa scrive: “I Vescovi hanno preso atto delle diverse scelte fin qui maturate, che si sono realizzate sia mediante nuove strutture giudiziarie diocesane e interdiocesane (quest’ultima la scelta lombarda, che ha di fatto salvato il vecchio Ter, N.d.R.), sia, ove ciò non sia apparso possibile o conveniente, mediante la valorizzazione delle strutture esistenti”. Insomma, se è cambiato qualcosa, è cambiato poco e con difficoltà. Per questo motivo, Bergoglio ha messo a disposizione del numero due della Cei, i numeri uno del diritto canonico d’Oltretevere: il prefetto della Segnatura Apostolica (il tribunale supremo della Santa Sede, che nella prima sezione si occupa di cause matrimoniali) cardinale Dominique Mamberti; il Decano della Rota romana monsignor Vito Pinto (autore della riforma matrimoniale), e il presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi cardinale Francesco Coccopalmerio, che aveva azzoppato la riforma targata Pinto (nel diritto canonico una norma generale non può derogare una speciale se non lo preveda espressamente, aveva osservato Coccopalmerio: ed ecco che il Papa è dovuto intervenire in corsa per applicare la riforma anche all’Italia).

Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, i problemi legati all’applicazione della riforma voluta da Jorge Mario Bergoglio colpirebbero in particolare buona parte della Sicilia, tutta la Calabria, la Campania e una parte del Lazio. E l’altro problema riguarderebbe l’appello: è un po’ complicato capire quale debba essere il tribunale a cui appellarsi contro la sentenza di primo grado, pur restando intesa la possibilità di rivolgersi alla Sacra Rota in Vaticano. Prima era molto semplice: essendo necessaria una sentenza doppia conforme, si ricorreva in automatico al Ter di un’altra regione (per Milano e la Lombardia ci si rivolgeva a Genova). Adesso la doppia conforme è sparita, l’appello dovrebbe essere presso il vescovo metropolita della propria provincia ecclesiastica, ossia l’arcivescovo che la presiede. Ma se a emettere la prima sentenza in primo grado è stato il metropolita, allora l’appello è presso il vescovo suffraganeo (cioè a capo di una diocesi legata a quella del metropolita) più anziano; contro la sentenza di altro vescovo senza autorità superiore sotto il Romano Pontefice, si dà appello al vescovo da esso stabilmente designato. (can. 1687, § 3). Chiaro, no?

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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