Le elezioni amministrative non sono elezioni politiche perché servono a scegliere i sindaci che devono garantire la vivibilità delle città. Ma un significato politico lo hanno anche loro, soprattutto quando esistono delle situazioni di correlazione tra la politica fiscale a livello nazionale e gli effetti locali. Il caso della Tasi, l’imposta sulla proprietà della prima casa, un tempo chiamata Imu, e di cui si è festeggiato il primo compleanno proprio in questi giorni, è in qualche modo emblematico.
Il governo Renzi l’ha abolita, contro il parere degli organismi internazionali ed europei che suggerivano di destinare i fondi a ridurre il cuneo fiscale, facendo risparmiare agli italiani circa 3,5 miliardi di tasse all’anno e, trattandosi di una tassa destinata al finanziamento proprio dei Comuni, avrebbe dovuto raccogliere alla prima tornata elettorale locale i benefici politici di tale decisione. Invece le elezioni di domenica scorsa non hanno premiato il governo: l’abolizione della Tasi non ha innescato un cappotto elettorale nelle più grandi città italiane.
A Roma, Napoli e Torino i candidati del Pd sono usciti sconfitti e questo dovrebbe far riflettere, e molto, Matteo Renzi e il suo modo di interpretare la politica economica. Un insieme disordinato di bonus e di interventi a pioggia non aiutano a far ripartire il Pil e non convincono la maggioranza dei cittadini che rimangono scettici sulla capacità di produrre sviluppo e occupazione da politiche tanto eterogenee tra loro.
Il voto delle grandi città italiane segnala, non che gli italiani non siano contenti dell’abolizione della Tasi, ma più semplicemente che non sono per nulla convinti dell’azione economica del Governo.
Il taglio della Tasi lo hanno monetizzato, certo, ma sono anche convinti che non produrrà maggiore occupazione e uno sviluppo diverso da quello da zero virgola a cui da anni è incatenato il Pil del Bel Paese.
Il messaggio inviato al Premier è questa volta inequivocabile: concentrati nell’utilizzare tutte le risorse pubbliche rese disponibili anche dalla flessibilità europea per rendere più competitiva l’Italia. Solo in questo modo la crescita e l’occupazione giovanile riprenderanno a registrare dei segni positivi.
Se Renzi, invece di tagliare la Tasi e rincorrere i bonus tipo quello degli 80 euro, avesse tagliato di cinque o sei punti il cuneo fiscale sin dal 2014 oggi raccoglierebbe ben altri risultati nelle urne e potrebbe registrare un ben più positivo livello di apprezzamento dell’azione del suo governo tra gli investitori internazionali.
(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)