Piuttosto difficile di questi tempi animare la pattuglia di Scelta Civica di Torino, europeista, riformista, liberaldemocratica, autonoma da destra e sinistra. A giugno 2015 abbiamo provato a parlare con la parte liberale del centro-destra, che si è tirata indietro persino da un confronto in terra neutrale. A luglio nel gran caldo, con Enrico Zanetti e Oscar Giannino abbiamo allora riempito una sala al Circolo dei lettori, un vero successo. Si era aggiunto Giacomo Portas, leader dei Moderati, partito piemontese con il 9,7% di voti al Comune di Torino e 7 consiglieri su 40. Portas era dipinto come leader di un partito–cartello, ma guidava in realtà una formazione concretamente civica, con antenne sul territorio, impegno per il sociale e il buongoverno, vendita di partecipate, forma organizzativa: sarà la barca che ci ospiterà alle comunali.
A settembre 2015, alcuni esponenti della vecchia Scelta Civica tentano ancora un’improbabile saldatura con la destra estrema della “rivolta nelle periferie” e dell’anti-sistema. Lasceranno rumorosamente nella primavera 2016 e si ritroveranno alle elezioni di giugno con il notaio Alberto Morano, la Lega lepenista di Salvini, Fratelli d’Italia, e con palestrati ragazzi di Casapound come rappresentanti di seggio. Per rappresentanti della buona borghesia torinese, il prezzo da pagare è politicamente alto ma compensato da un obiettivo: far saltare il cosiddetto “Sistema Torino” e Piero Fassino.
E’ lo stesso obiettivo di Roberto Rosso, altro ex Forza Italia, che riempie la città di manifesti anti-sistema e anti-Fassino, con linguaggio estremo, su immigrati e periferie, su telecamere di sicurezza per ogni condominio a carico del Municipio. Una comunicazione rabbiosa e rasserenante, che unisce narrazione da destra radicale a simboli moderati, dall’Udc locale al Pli. Di nuovo, in funzione anti-Fassino.
Resiste all’estremismo solo Berlusconi, che rifiuta l’incontro con il notaio Morano e impone la candidatura di Osvaldo Napoli, sempre nella logica del Nazareno. A Torino però i suoi sono quasi tutti anti-sistema e anti-Fassino “a prescindere”, e lo dicono pubblicamente. Rosso, Morano e Forza Italia locale creano nei fatti la grande alleanza tra la destra estremizzata (anche se frazionata) e il M5S, sin da settembre 2015.
Eppure Fassino ha governato bene, nel possibile che è concesso alla politica. Ha sgomberato il campo rom di Lungo Stura Lazio, una schifezza di spazzatura e topi lungo la strada, cresciuto a dismisura tra Roberto Cota e Mercedes Bresso, fino a Chiamparino. Ha ereditato una classe dirigente che si è formata negli anni, divenuta chiusa e diffusamente arrogante, che però ha iniziato a rinnovare. Ha messo i led nei lampioni, proseguito la trasformazione urbanistica, aperto il sottopasso stradale di Piazza Statuto, ridotto il debito, salvato i servizi sociali, asfaltato, messo i fiori, le auto elettriche. La campagna elettorale di Fassino spara i numeri del successo e lui vede migliaia di persone, stringe mani, sorride. Ma nessuno ascolta.
Il facsimile della scheda elettorale per il primo turno è la rappresentazione grafica della rabbia. Dei diciassette candidati sindaco, quindici sono anti-sistema e anti-Fassino. Liste farlocche e liste nuove, è l’affresco di una grande coalizione contro l’establishment, un lenzuolo con disegni di guerra, persino un cappio con la parola “Basta!”. Dall’altra parte, si vede un uomo solo con quattro liste di sostegno, di cui una che imbarca pochi liberaldemocratici di Scelta Civica. Siamo “Moderati”, proprio quando è il momento degli Immoderati, come ai tempi di Fermare il declino, da cui peraltro ero partito. Infatti piace a molti il nuovo slogan di Zanetti, “estremisti del buonsenso”. Disturba solo poche orecchie, non è il momento dei professori.
In Corso Giulio Cesare si arriva in fretta, 15 minuti dal centro di Piazza Castello, con car2go o con il tram 4. Si sentono periferia – quindi esclusi – ma sono a un passo dal centro, la strada è pulita e animata, il tram nuovo scorre sui binari in mezzo alla carreggiata, come a Berna, dove si vedono peraltro molti più extraeuropei. Al bar dell’incontro elettorale sono tutti arrabbiati: non era così negli anni Sessanta quando siamo arrivati noi dal sud, con le belle panetterie di allora. Il trincerone della vecchia ferrovia è ancora scoperto: ci verrà la linea due della metropolitana, rispondo, ce l’ha già detto Cota il leghista, rispondono, ma ora c’è il progetto rispondo, e loro fanno silenzio. Voteranno Appendino, avevano già deciso, non c’è argomento, né l’Europa, né il buongoverno, né lo sgombero dei rom da Lungo Stura Lazio. Ah, noi siamo simpatici e competenti, gran sorrisi ma voteranno altrove. Avremo solo due preferenze, di persone che ci annunciano riservatamente di aver sempre votato a sinistra.
In corso Potenza, incontriamo in un altro bar un gruppo di donne, di origine calabrese. Ancora preoccupate per l’immigrazione, apprezzano la passione e gli argomenti, ascoltano ma sanno già chi votare. Certo la sicurezza pedonale è importante, ma nella piazzetta lì vicino ci sono molte bottiglie rotte, e credono che il campo rom di Lungo Stura Lazio sia ancora intatto, con tanto di bambini sporchi, topi e spazzatura.
Eppure la città è bella, bellissima, meglio di tante città europee anche in periferia, meglio di Bruxelles nord e ovest, di Reims, di Lione. Al rinnovato Parco della Pellerina – dove una volta c’erano prostitute e siringhe in pieno giorno – passa una coppia, con una carrozzina e piccina a bordo. Al volantino il papà risponde con un “Torino fa schifo”, mentre al chiosco la gente prende un caffè conversando ai tavoli, con l’erba tagliata, non una cartaccia, giovani sul prato a prender sole, jogging e biciclette, un Segway che passa. La città del nuovo turismo e dell’innovazione ha la rabbia nella pancia.
Certo alla fine del primo turno la doccia è stata gelata. Le preferenze sono poche, noi Moderati si arriva al 6% totale, anche grazie alla comunità cattolica di CL. E’ Fassino che non va, i Moderati ottengono fino al 10% di voti in una circoscrizione ma solo il 5% degli stessi voti per il Comune: non ci votano per il sindaco. Il voto disgiunto è testardo, anche i genitori di un nostro candidato non vogliono votare Fassino, anche la mamma anziana di una professoressa in pensione voterà Appendino.
Per il ballottaggio, Roberto Rosso dice che bisogna votare il meno peggio, cioè Appendino, e gli endorsement da destra vengono forti, anche se pubblicamente dalle seconde linee: un ex-membro della segreteria di Maurizio Lupi, il giovane Ludovico Seppilli, e da Paolo Turati della fondazione Magna Carta nord-ovest e quindi Quagliariello. La stessa saldatura avviene a Novara, dove vincerà la Lega con i voti che al primo turno sono andati ai Cinque Stelle. Eppure, sganciandosi da Airaudo e da SEL, lo spostamento al centro è stato marcato, Fassino ha il sostegno persino di Enzo Ghigo, già Presidente della Regione per Forza Italia, e di Michele Vietti, ex vicepresidente del CSM. Entrambi votano i Moderati, e invece è il momento della rabbia.
Il 16 giugno si paga l’Imu, a tre giorni dal voto. Un amico sgancia i soldi per conto del padre, che fatica a mantenere un paio di appartamenti. Un conoscente professionista salta regolarmente il pagamento dell’Iva, così capita per un terzo esercizio commerciale visitato, mentre all’albergo di Corso Casale sono in ritardo con il pagamento di imposte comunali. A Mosca, nel frattempo, Renzi si fa beccare sia da Putin che dal fotografo mentre twitta al telefono, in piena conferenza stampa, e l’immagine gira in rete.
Nella domenica del voto, mio suocero, classe 1930, di fronte alla torta per il compleanno di mia figlia diciottenne dice: vince la Appendino. Avrà oltre il 54% e avrebbe avuto il 70% se Fassino avesse governato male.