Neppure lui, guru per antonomasia delle campagne elettorali negli Stati Uniti, ha una risposta certa alla domanda da un miliardo di dollari di Usa 2016: “Perché Donald Trump esercita un richiamo sugli elettori americani?”. Il fenomeno Trump pone interrogativi irrisolti anche a Peter Hart, uno degli analisti più apprezzati dell’opinione pubblica negli Usa, che segue le campagne presidenziali da oltre mezzo secolo e svolge pure ruoli di consigliere politico.
Di passaggio a Roma, Hart, 82 anni, ha distillato la sua visione a un gruppo di giornalisti ristretto, su quella che lui stesso giudica “la corsa più inusuale e la meno pronosticabile dal 1968” – l’anno che la campagna fu tragicamente segnata dagli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy, candidato alla nomination democratica -.
Uno schema classico è che le elezioni presidenziali si collochino sotto il segno o della continuità o del cambiamento: il 2016 dovrebbe logicamente essere nel segno del cambiamento. Ma il quadro non è chiaro ed è complicato dal fatto che i due candidati hanno percezioni negative mai così alte: al 60 per cento degli elettori non piacciono né l’uno né l’altro.
Di Trump, Hart osserva che ha difficoltà con l’establishment repubblicano, ma riesce a esercitare “un forte richiamo” sulla classe lavoratrice. Lui, però, si rende ostili intere porzioni dell’elettorato, millennials, neri, ispanici, donne, e ha pure contro un quarto dei tradizionali elettori repubblicani.
“E’ un candidato caotico, risponde sul tamburo e non ha background, salta nel fango ogni giorno e ha un rapporto difficile con la libera stampa, come dimostra la messa al bando dalla sua campagna del Washington Post […] La Brexit e Trump sono parte dello stesso schema”, almeno nei confronti dell’immigrazione: “Se non è proprio xenofobia, è come minimo difficoltà a posizionarsi rispetto a una società multietnica”.
E Bernie Sanders? “Sanders sta ai Clinton come Trump sta ai repubblicani: il suo punto forte è che ‘i ricchi stanno meglio e i poveri stanno peggio’, in una società asimmetrica. Ma i sostenitori di Sanders voteranno Hillary in larga maggioranza: al 90 per cento odiano Trump”. Indicazioni che i sondaggi più recenti confermano.
Resta, appunto, Hillary Clinton. Uno dei suoi problemi è che “Trump ha un messaggio, ‘Make American great again’, dove l’accento è sull’again, mentre lei non ha un messaggio e lo sta ancora cercando […] Il fatto di essere donna le gioca a favore, la votano vedendola come moglie, sorella, figlia […] Ma lei è lontana dalla gente, mentre Trump sa essere vicino alle persone”.
Barack Obama è figura centrale di queste elezioni, “può esercitare un’influenza pro Hillary”. Anche “l’instabilità internazionale gioca a favore di Hillary, perché, quando le cose sono difficili, la gente tende ad affidarsi a esperti […] Però, vicende come quelle di Orlando possono favorire Trump […] “.
Quanto ai ticket, Hart pensa che Trump cercherà qualcuno che gli dia credibilità e la Clinton qualcuno che la accrediti a sinistra – ma sarebbe sorpreso se fosse Elizabeth Warren o lo stesso Sanders – . Il senatore del Vermont ha però “costretto” l’ex fist lady “a muoversi a sinistra, mentre lei ha tendenza a muoversi al centro”.
Le convention saranno “affascinanti”: “Fra i democratici, ci sarà unità. Fra i repubblicani, invece, non ci sarà e molto dipenderà dall’entità delle proteste a Cleveland”.
Infine, gli Stati decisivi: i soliti, Ohio, Florida, ma anche Colorado e New Mexico, e pure Virginia e North Carolina. “Trump – avverte Hart – può fare breccia in Ohio, Pennsylvania, Wisconsin”.