Dopo due giorni di accelerazioni e rinvii Veneto Banca ha definito le condizioni dell’operazione Serenissima, cioè dell’aumento di capitale da 1 miliardo che potrebbe accompagnare il gruppo in Piazza Affari. Ieri l’istituto di Montebelluna guidato da Cristiano Carrus (in foto) ha ufficializzato la forchetta di prezzo, che, come atteso, si è collocata tra un valore minimo di 0,1 euro e un massimo di 0,5 euro per azione. Confermato anche l’intervento di Atlante, che ha sottoscritto un accordo di sub-underwriting con Banca Imi, capofila del consorzio, condizionato all’acquisto di almeno il 51% del capitale.
Le comunicazioni, attese già per il giorno precendente, sono arrivate solo nella serata di ieri dopo una seduta di forti ribassi per le banche italiane, penalizzate proprio dall’incertezza sul futuro di Veneto Banca. L’indice Ftse Italia Banche ha lasciato sul terreno il 3,34%, con solo Carige in territorio positivo (+6,06% a 0,56 euro). Inizialmente infatti il mercato si era mostrato fiducioso sull’esito del collocamento, che avrebbe potuto avere un esito molto diverso da quello della Popolare di Vicenza. La settimana di pre-marketing ha però gelato le attese, lasciando intendere che l’inoptato potrebbe essere molto consistente. Per quanto riguarda il lavoro sulla forchetta di prezzo, il ritardo andrebbe ricondotto ad alcune tecnicalità sul contratto di underwriting del consorzio.
Sullo sfondo però sono emerse frizioni tra i vertici della banca e il corpo sociale, a partire dal mondo delle associazioni. In mattinata il vicepresidente Giovanni Schiavon si è espresso con grande chiarezza: «Livello reputazionale, fiducia, raccolta e liquidità sono in continua discesa e l’ambiente è pesante da tagliare con il coltello. In zona Cesarini noi del nuovo cda abbiamo cercato di fare il possibile», ha aggiunto, «ma in un mese di più non si poteva fare e dagli advisor abbiamo avuto la chiara indicazione su come sia percepita questa banca nel mercato», ha concluso Schiavon, che proprio in questi giorni è al centro di una polemica legata ai suoi presunti legami con l’ex ad Vincenzo Consoli.
A stretto giro però il presidente Stefano Ambrosini ha commentato così le parole di Schiavon: «parla a titolo personale, quando in realtà sarebbe assai opportuno non parlare affatto, specie in un momento così delicato. Il senso di opportunità non è un obbligo giuridico, ma una qualità apprezzabile in tutte le persone, tanto più se si siede nel cda di una banca», ha concluso Ambrosini.
A questo punto resta da capire che esito darà la fase di offerta che partirà la prossima settimana. Da un lato esiste la possibilità che Atlante debba entrare con una quota di larga o larghissima maggioranza come accaduto nel caso di Bpvi, vedendosi costretto a prendere il timone della banca. L’altra possibilità è che gli attuali azionisti opzionino quote significative, tali almeno da costituire il flottante minimo (pari al 25%). Indicazioni in questo senso sono arrivate anche ieri da Schiavon («ci sono ancora margini per raccogliere fra i grandi soci il 25% del capitale necessario alla quotazione»), ma la strada è in salita. Quel che è certo è che in fase di aumento non dovrebbero palesarsi eventuali compratori.
Ieri ad esempio l’amministratore delegato della Popolare Emilia Romagna Alessandro Vandelli ha nuovamente smentito un progetto su Veneto Banca, pur ammettendo un interesse per il territorio veneto. Una posizione di assoluta cautela che, suggeriscono fonti ben informate, avrebbe potuto essere diversa se l’esito del pre-marketing fosse stato più incoraggiante.
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)