Secondo i sondaggi il 57 per cento dei tedeschi pensa ormai che la politica dell’accoglienza di Angela Merkel sia fallita: questo scrive il quotidiano die Welt. Lo stesso quotidiano, sulla stessa pagina, loda però anche la fermezza mostrata ieri nel corso della conferenza stampa dalla Kanzlerin a Berlino. Merkel, introducendo con un breve discorso la conferenza stampa annuale con i giornalisti della capitale, prima di rispondere per un’ora e mezza alle domande, ha ripetuto la frase del 31 agosto di un anno fa “Ce la possiamo fare”.
Ieri ha ribadito la stessa convinzione. Non ha mai detto, spiegava ai giornalisti presenti, che gestire l’arrivo di un milione e passa di profughi, il riconoscimento del diritto d’asilo, la gestione dei rimpatri per chi non ne ha titolo, integrare chi invece può rimanere e farlo diventare parte attiva della società tedesca, sarebbe stato un compito facile. Ieri ricordava che il suo “Ce la possiamo fare” era stato accompagnato dalla frase successiva: “E lì dove troviamo ostacoli, li dobbiamo rimuovere velocemente”. Allora si riferiva per esempio alla normativa edilizia delle caserme appena dismesse e che dovevano servire ad accogliere i profughi. Ieri si è riferita alla sicurezza interna. E il governo non è stato con le mani in mano in questi giorni, ma ha preparato un piano di intervento. Un piano in nove punti di cui la Kanzlerin ha riassunto ieri quelli salienti (i dettagli verranno, invece, resi noti più avanti).
Peccato che, scrive la Süddeutsche Zeitung, si tratta di un piano d’azione di cui si parla da tempo e senza grandi novità: Merkel vuole un sistema di allerta preventivo; più personale e più strumenti altamente tecnologici per gli organismi di sicurezza; uno scambio di dati veloce ed efficiente tra le varie forze dell’ordine a livello federale ma anche europeo; infine un respingimento più veloce e fattivo di chi non ha ottenuto il permesso di restare in Germania.
I fatti della scorsa settimana: il profugo minorenne afghano (o pakistano che fosse, non si sa ancora) che ha aggredito i viaggiatori in un treno; il ragazzo tedesco-iraniano che ha compiuto la sparatoria a Monaco; il profugo che ha assalito con un coltello da kebab una donna, e infine il siriano respinto che domenica scorsa si è fatto esplodere ad Ansbach, una cittadina bavarese, hanno gettato il paese in uno stato di choc. Anche la stampa, i commentatori che solo lentamente e con molta cautela hanno iniziato pubblicare articoli nei quali ci si chiede apertamente “chi ci siamo messi in casa?”. La maggior parte di questi articoli è però accompagnato anche dal ripetuto ammonimento di non vedere ora tutti i profughi come potenziali terroristi.
Henryk Broder, da sempre penna affilata della Welt, vede però proprio in questa cautela il pericolo maggiore non solo per i tedeschi, ma per i profughi stessi. “Danni collaterali dell’integrazione”, questo il titolo di un suo commento uscito all’inizio di questa settimana. “Niente panico ci viene detto ora. Le possibilità di morire per via di un incidente stradale sono molto più alte”. E quasi tutti sono felici di poter riprendere questa statistica, di non dover affrontare il vero nodo della questione. Solo la pasionaria della Sinistra Sahra Wagenknecht, annotava Broder, ha avuto il coraggio di puntare il dito lì dove nessuno vuole guardare e di dire: “I fatti degli ultimi giorni mostrano che l’accoglienza e l’integrazione di molti profughi e migranti implica problemi che sono molto più gravi di quelli che Frau Merkel ci ha voluto far credere lo scorso autunno”. Anche il Senatore dell’Interno di Berlino (la capitale fa regione a sé ed è retta da un Senato), il cristianodemocratico Frank Henkel ha rotto gli indugi affermando: “A quanto pare ci siamo messi in casa anche persone totalmente abbrutite, disposte a barbari crimini che fino a oggi da noi non si erano visti”. Broder fa però notare che né Henkel né il ministro dell’Interno Thomas de Maiziére hanno più fatto riferimento ai fatti di Colonia, Amburgo e Stoccarda di Capodanno, quando in centinaia di donne hanno denunciato molestie sessuali (in alcuni casi addirittura violenza) da parte di gruppi di profughi. “A quanto pare sono diventati danni collaterali dell’integrazione”. Quello di cui però la moltitudine dei politicamente corretti non tiene conto è, conclude Broder, che “a pagare il prezzo della politica delle frontiere aperte non saranno i tedeschi, ma coloro che sono venuti da fuori. Ogni ammonimento di non fare di tutt’erba un fascio finisce per sortire l’effetto opposto mentre la considerazione che statisticamente è più improbabile essere vittima di un attento terroristico che di un incidente stradale, non fa che confermare la supposizioni che si tratta di un pericolo imponderabile ma onnipresente”.
Critici sono stati anche diversi commenti seguiti alla conferenza stampa di ieri. Così nella SDZ, che negli ultimi tempi ha quasi sempre difeso la politica del governo, Robert Roßmann ora scrive: “Angela Merkel è una gigantesca macchina della riduzione emotiva. Odia le emozioni, tanto quanto odiano la visita dal dentista o pulire il water. E ne ha dato prova anche durante la conferenza stampa”. Peccato, perché così ha perso un’occasione, commentava sempre sullo stesso giornale Kurt Kister. “Merkel è la regina dai nervi saldi, del pragmatismo razionale. (…). E’ probabile che Merkel definirebbe anche l’affondamento del Titanic e la morte di John Lennon ‘una interessante messa alla prova”. Ma forse è arrivato il tempo, prosegue Kister, di usare un linguaggio più alla portata della gente. Già ma Merkel dovrebbe essere capace di una retorica più emotiva, solo che non lo è. Se lo fosse non si sarebbe presentata alla conferenza stampa, avrebbe piuttosto fatto quello che fa in modo brillante di tanto in tanto il Cicerone della nazione, cioè il capo di Stato Joachim Gauck: avrebbe allora tenuto un discorso alla nazione capace di toccare il cuore e aguzzare l’intelletto. “Perché è vero che la nazione non è divisa, come vogliono far credere quelli di estrema destra o sinistra. Ma sono evidenti la paura, i dubbi, il senso di impotenza e la rabbia. E sarebbe stato un bene che Merkel affrontasse proprio questi argomenti”.
Anche la Frankfurter Allgemeine, il quotidiano di Francoforte che da tempo non le garantisce più il sostegno assoluto di un tempo, parla dei “Limiti della Kanzlerin”. Il commento sulla FAZ è affidato a Jasper von Altembockum, il quale scrive: “E così infine l’ha detta la frase che in molti si sarebbero aspettati già molto prima. Quella frase che lei pensa di aver già detto ripetutamente, ma se così è stato, deve averla infilata nei discorsi quasi di soppiatto: ‘Un anno come il 2015 non si ripeterà più’. Merkel si riferiva agli ingressi illegali. E considerando la distanza breve che pare dividere migrazione e terrorismo, questa affermazione è una presa di coscienza rivolta non più in prima linea agli scafisti, ma alla popolazione sempre più spaesata”. Altenbrock riprende anche la frase che Merkel aveva detto fine estate scorsa: “E se troviamo degli ostacoli, questi vanno rimossi”. E tra gli ostacoli che ora potrebbero essere rimossi, per quanto Merkel ieri non abbia voluto entrare nel merito, è quello di potersi avvalere (come in Francia e in Belgio per esempio) anche in Germania più facilmente dell’esercito, anziché, come previsto dalla costituzione, solo in caso di catastrofi naturali o se fosse messa in pericolo l’esistenza stessa della Repubblica Federale Tedesca.
Merkel sa che il vento sta girando. Un giornalista ieri le ha chiesto quando libererà il posto per dare finalmente spazio a un nuovo corso politico. Lei non ha risposto.