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Baghdad, cosa ho visto nel girone dell’inferno. Parla il giornalista Adib Fateh Ali

Adib Fateh Ali - Youtube

Il racconto della situazione a Baghdad sulle immagini girate dal giornalista di askanews Adib Fateh Ali che si trova nella capitale irachena. Adib Fateh Ali, curdo iracheno di nascita, è arrivato sul luogo dell’attentato mezz’ora dopo l’esplosione. Cosa ha visto? “Si sta già parlando di 184 morti ma le autorità irachene tendono a diminuire il numero delle vittime. Io da fonti del ministero della della Salute ho appreso che il bilancio sarebbe di oltre trecento morti. E vedendo la scena dell’esplosione crederei a più di 320. Mezz’ora dopo l’attentato ero sul posto, ho parlato con le persone, ho visto la gente scappare e i corpi per terra. Una esplosione potentissima: si è trattato di un camion frigorifero bomba. I morti sono morti per lo più per l’incendio; c’è voluta un’ora e più per spegnerlo, sono morti asfissiati dal fumo. In pratica non è uscito nessuno vivo dai due centri commerciali che sono stati sventrati completamente, trasformato tutto in cenere, fumo, una scena surreale. Sembrava il girone dell’inferno. Ma la cosa più terribile per noi è stato questo odore di carne viva che lacerava l’anima oltre a quello del fumo che lacerava i polmoni. Una scena incredibile”.

“La scelta del tempo e della modalità dimostra la voglia feroce di ammazzare quanta più gente possibile. Nei centri commerciali nei periodi di Ramadan la sera i ragazzi escono a prendere una boccata d’aria, a prendere un gelato: vivono di notte. Questo è un quartiere di sunniti e sciiti, dove c’erano una volta anche i cristiani che purtroppo non ci sono più”, prosegue Adib Fateh. “Questo quartiere per il terzo anno consecutivo, nello stesso periodo, per il 27esimo giorno del Ramadan viene puntualmente colpito”.

“Posso dire da iracheno che questo paese per me non ha futuro, semplicemente. Troppo odio, troppa diffidenza. Non c’è una classe politica che riesca a guidare, non c’è nessuna fiducia. Ma la cosa atroce è che oramai fra iracheni gli sciiti e i sunniti sono separati, fra muri, steccati, posti di blocco ogni 100, 150 metri. Le persone si guardano male, l’autista vedendo uno subito mi ha detto ‘quello è sunnita’. Dico ‘ma come?, ‘Dallo sguardo, dall’espressione, ormai ci riconosciamo a pelle’. L’Isis con questi suoi attentati vuole dimostrare alla comunità internazionale che non è morto, che è ancora capace di colpire. Ma c’è un messaggio più subdolo ancora che mira a destabilizzare l’Iraq, dire che gli sciiti non sono capaci di governare il paese”, continua il nostro giornalista. “La disperazione della popolazione l’ho vista: pur avendo parlato con delle donne sciite, non credono più nel regime, benché sciita. Dicono “questi son venuti a far soldi. Era meglio Saddam Hussein, perché avevamo paura di lui ma tutto era in ordine’. Io chiedo, ma cosa volete, tornare ai tempi di Saddam? No, mi dicono, ‘vorremmo tornare allo stato brado, ai tempi in cui vivevamo nel deserto come beduini’. Probabilmente l’unica prospettiva è dividere il paese in due o tre federazioni se non in tre Stati separati: nel nord i curdi, a ovest i sunniti e nel sud gli sciiti. Mi duole dirlo ma temo che sia la cosa migliore, vivere ognuno per conto suo. E questo lo dico dopo tanti anni in cui ho sperato che si potesse evitare”.



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