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Vi racconto la vera storia delle sofferenze nelle banche italiane. Parola di Visco

Il problema dei crediti deteriorati delle banche italiane è serio, ma può essere gestito; va chiaramente inquadrato e affrontato; lo si sta facendo, tenendo conto della necessità di contemperare rapidità ed economicità delle operazioni. La riduzione della loro consistenza registrata dall’autunno scorso è un segnale incoraggiante. La perdita, negli anni della crisi, di quasi dieci punti di PIL e di circa un quarto di produzione industriale non poteva non influire pesantemente sui bilanci delle banche italiane e sulla qualità dei loro prestiti. In assenza della doppia recessione la consistenza lorda delle sofferenze sui prestiti alle sole imprese non finanziarie, superiore a 140 miliardi alla fine del 2015, sarebbe ammontata a circa 50 miliardi, un valore pari al 5 per cento dei finanziamenti concessi, prossimo a quello osservato prima della crisi. Sulla dinamica delle esposizioni deteriorate hanno inciso pesantemente i tempi – da noi finora particolarmente lunghi – delle procedure di recupero dei crediti, per i quali gli interventi decisi nell’ultimo anno determineranno un significativo accorciamento. Come abbiamo già avuto occasione di sottolineare, tempi medi di recupero inferiori anche solo di due anni avrebbero determinato, con una più elevata valorizzazione dei crediti deteriorati, un rapporto tra sofferenze e prestiti non discosto dalla metà di quello che oggi osserviamo.

La gran parte degli intermediari italiani è in grado di affrontare una situazione congiunturale ancora fragile, fornire finanziamenti all’economia, competere efficacemente sul mercato. Alcune valutazioni espresse nelle scorse settimane, che quantificano in svariate decine di miliardi le esigenze di ricapitalizzazione dell’intero sistema bancario, si basano sul presupposto che la consistenza complessiva delle sofferenze e magari anche parte delle cosiddette “inadempienze probabili” debbano essere cedute immediatamente da tutte le banche a un valore pari a circa la metà di quello a cui le sofferenze sono iscritte nei bilanci delle banche.

In Italia un credito viene classificato come “deteriorato” sulla base di criteri armonizzati a livello europeo, pubblicati dall’EBA nel 2013 e sostanzialmente allineati a quelli precedentemente applicati nel nostro paese e alle prassi internazionali. Per attribuire a un credito deteriorato un valore in bilancio le banche italiane devono seguire i principi contabili internazionali IAS/IFRS. Questi ammettono discrezionalità, rispetto alla quale abbiamo costantemente incoraggiato politiche prudenti di valutazione, tali da tenere conto in maniera adeguata del grado d’incertezza dei tempi e dei flussi di recupero; l’azione sugli accantonamenti che abbiamo condotto nel biennio 2012-13 ne è un chiaro esempio.

I crediti deteriorati possono essere distinti, come usiamo fare in Italia, in almeno due grandi categorie, molto diverse fra loro per stato di difficoltà dei debitori: dei 360 miliardi di prestiti deteriorati lordi in essere alla fine dello scorso anno, 210 erano relativi a debitori insolventi (le sofferenze), 150 corrispondevano alle inadempienze probabili o a esposizioni scadute o sconfinanti. Le esigenze di copertura o svalutazione di queste due categorie di crediti deteriorati sono, ovviamente, differenti. Entrambe vanno valutate in bilancio con le necessaria prudenza ma non a valori corrispondenti a una loro immediata liquidazione. Per la seconda categoria il rientro tra le esposizioni in bonis è possibile; di fatto, è risultato significativo anche nelle difficilissime condizioni degli anni scorsi. Si tratta, infatti, di relazioni creditizie “vive”; vi sono elevate probabilità che il debitore, pur attraversando una fase particolarmente difficile, sia in grado di superarla e di tornare a onorare i propri impegni.

Per quanto riguarda le sofferenze, vanno considerate le svalutazioni già apportate dalle banche e le garanzie sottostanti. Al netto delle svalutazioni, l’ammontare di sofferenze si riduce a 87 miliardi. Di questi, circa 50 sono assistiti da garanzie reali il cui valore è stimato in 85 miliardi; il resto è assistito da garanzie personali, dal valore stimato di 37 miliardi, o non è garantito. Le valutazioni delle garanzie immobiliari nei bilanci delle principali banche italiane sono state ritoccate al ribasso in occasione della asset quality review europea del 2014, condotta sulla base di stime indipendenti approfondite e prudenti. La revisione è stata in media pari a circa il 10 per cento, a fronte del 13 per il complesso degli intermediari dell’area dell’euro sottoposti all’esercizio, a conferma della sostanziale correttezza dei criteri di valutazione utilizzati dagli intermediari italiani. Dopo quella valutazione la riduzione dei prezzi degli immobili in Italia è stata contenuta; va ricordato altresì che i prestiti ipotecari erogati dalle banche italiane hanno un rapporto rispetto al valore della garanzia (loan to value ratio) più basso che negli altri principali paesi europei (…)

Il valore di mercato di un credito in sofferenza dipende essenzialmente da due fattori: l’obiettivo di profitto dell’acquirente e la durata dei tempi di recupero: profitti attesi più elevati o tempi di recupero più lunghi si traducono in prezzi più bassi.

Con riferimento al primo fattore, negli ultimi anni gli acquirenti attivi nel mercato delle esposizioni deteriorate sono stati quasi esclusivamente fondi di private equity non europei, che perseguono obiettivi di rendimento molto elevati, tra il 10 e il 20 per cento, ben al di sopra del rendimento del capitale delle banche italiane, oggi in media ancora di poco inferiore al 5 per cento. Con riferimento al secondo fattore, le recenti riforme volte a ridurre significativamente i tempi delle procedure di recupero dei crediti sono in grado di incidere in modo rilevante sul valore delle sofferenze; occorre, quindi, permettere loro di dare i frutti previsti. Un tempo non breve sarà necessario anche per ottenere il pure indispensabile miglioramento dell’efficienza dei tribunali, che rimane assai eterogenea sul territorio (…)

Gran parte delle esposizioni deteriorate si concentra presso banche in buone condizioni finanziarie, nonostante gli effetti della lunga e profonda recessione. Le banche “significative” con livelli di crediti deteriorati particolarmente elevati e, tra gli altri intermediari, quelli con coefficienti patrimoniali (core tier 1) inferiori al 10 per cento detenevano nel complesso alla fine dello scorso anno 15 miliardi di sofferenze al netto delle svalutazioni già conteggiate in bilancio, anch’esse coperte da garanzie reali e personali.

Queste considerazioni indicano che non è corretto parlare del problema dei crediti deteriorati come di un’emergenza per l’intero sistema bancario. Una supervisione efficace deve valutare l’effettiva situazione dei singoli intermediari, usando informazioni dettagliate, ricorrendo ad analisi robuste, tenendo conto della velocità media di recupero dei crediti (…)

La normativa europea prevede la possibilità di interventi pubblici di natura precauzionale anche sul fronte della capitalizzazione, con riferimento ai risultati delle prove di stress. La situazione attuale, densa di rischi per la stabilità finanziaria, richiede la predisposizione di un backstop pubblico da attivare in caso di necessità, nel pieno rispetto delle norme comunitarie, tenendo ben presenti i potenziali effetti sistemici di eventuali crisi per i singoli stati membri e per l’area dell’euro nel suo complesso. L’argomento sollevato da alcuni a livello europeo, secondo cui interventi pubblici a sostegno del sistema bancario italiano avrebbero dovuto essere effettuati in passato, come avvenuto in altri paesi, non tiene conto della diversa evoluzione delle condizioni dei sistemi bancari nazionali nel tempo.

(L’intervento integrale di Visco all’assemblea Abi si può leggere qui)

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