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Che cosa si cela dietro la mossa astiosa di Bolloré su Mediaset Premium

“È come quando si dipinge un quadro. Le pennellate, spesso, non dicono granché. Ma alla fine il quadro acquista un senso”. Ad esprimere questo concetto in una recente intervista al Financial Times è stato il “pittore” Vincent Bolloré, stirpe di marinai bretone non estranea a missioni di pirateria. Ieri, come è già successo in passato (basti pensare ai tentativi di accasare il gruppo Ligresti a Groupama), l’indole del finanziere cresciuto alla scuola di Antoine Bernheim (poi congedato senza troppi complimenti) si è manifestata di nuovo: lo strappo con Mediaset, con cui ha stracciato la tela pazientemente tessuta attorno al network di casa Berlusconi, è un evidente segnale di discontinuità che cambia il tavolo da gioco. Con quali obiettivi?

1) La spiegazione più semplice sta nei costi. Bolloré ha preso atto che Premium, nei fatti, sta assai peggio di quel che appariva dal di fuori. Possibile, ma non era difficile prender atto che la pay tv di Mediaset, azzoppata dl flop dei diritti sulla Champions League, strapagata per battere la concorrenza di Sky, non navigava certo in buone acque. Contano anche le difficoltà che Vivendi sta incontrando nella creazione di un’alternativa “mediterranea” a Netflix e a Sky; la richiesta di unificare le attività di Canal plus con la piattaforma di Be in è stata respinta dall’Antitrust francese. Gli azionisti di Vivendi, fondi di investimento in testa, guardano con crescente nervosismo alle minusvalenze accumulate in Telecom Italia.

2) Per uscire dall’impasse, Bollorè avrebbe così deciso di rovesciare il tavolo, provocando la rottura con Mediaset. O, meno probabile, aprendo la strada per un’alleanza con l’amico Silvio Berlusconi che, a questo punto, appare quasi fantascienza.

3) A meno che la partita non si sposti oggi su un piano superiore, quello dove operano Mediobanca e la controllata Generali, i frutti più fortunati della campagna d’Italia di Bolloré che, con una spesa modesta, è diventato oggi il punto di riferimento della banca d’affari, ormai specializzata in operazioni di dismissione: la cessione di Pirelli ai cinesi, quella di Italcementi ai tedeschi, il passaggio della stessa Telecom alla leadership francese. La strategia è stata quella di accasare le maggioranze italiani deboli o comunque preoccupate dalla competizione globale, con un socio internazionale forti, garantendo un buon prezzo ed un ruolo per gli ex proprietari.

È una formula che potrà valere per Mediaset? Probabilmente non nel prossimo futuro. E’ inevitabile che oggi in casa Fininvest si suoni la tromba della dignità offesa e della riscossa, in tribunale e sui mercati. Ma in prospettiva è assai difficile che Mediaset possa adottare all’infinito una strategia stand alone. Soprattutto nella prospettiva di un passaggio di consegne agli eredi del fondatore dell’impero: è assai difficile che Fininvest possa o voglia affrontare senza solidi alleati finanziari la sfida multimediale che, tra l’altro, non si giocherà certo in lingua italiana.

Bolloré, insomma, ha voluto usare tinte forti, rischiando di strappare la tela del quadro. Ma, con lui o con altri protagonisti, la partita è appena cominciata.

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