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Come si vive la Brexit in Francia

Asterix e Obelix

Nei villaggi francesi del nord come del sud, la Brexit non è vissuta con sofferenza. Sembra piuttosto un episodio del torneo europeo di calcio, con gli inglesi che hanno preso il pallone e se ne sono andati; e poi l’Inghilterra non è poi così amata (Scozia, Galles e Irlanda di più) da stracciarsi le vesti se esce dall’Unione Europea, che a sua volta è considerata come una roba lontana, costosa e a volte nemica. Quindi sono i media a riempire occhi e orecchie dei francesi sul “cataclisma” Brexit.

GLI AVVOLTOI SONO IN VOLO

Sul “cataclisma” le opinioni in genere sono molto misurate: la Gran Bretagna era già in gran parte fuori dalla vita comunitaria e uscendo del tutto si farà solo del male da sola. Ma diversi avvoltoi francesi si sono già alzati in volo per predare eventuali pezzi di una Gran Bretagna, frantumata dalla crisi: il presidente della regione di Parigi, Valérie Pécresse, si è già detta disponibile a ospitare una nuova city finanziaria nelle terre da lei amministrate (in verità la regione amministra grosso modo solo la formazione professionale e le infrastrutture).

Ci sono invece preoccupazioni tra gli avvoltoi su quella che era la collaborazione nel campo della difesa; facendosi vedere troppo, temono di essere tirati giù come passeri. Ma in sostanza non ci sono timori particolari su grandi conseguenze nell’interscambio commerciale tra i due Paesi, anche nel caso remoto di dazi reciproci. Sulla city finanziaria si prevedono uscite e ferite, ma nulla di preoccupante, soprattutto se tenuto conto della rete mondiale inglese, delle garanzie amministrative e fiscali riservate ai titoli in commercio. E poi c’è il Commonwealth (che non è proprio come l’Associazione dei Paesi francofoni) che vale 16 Paesi, tra cui Australia, Canada e Nuova Zelanda, che di fatto continuano ad essere reami della regina Elisabetta. D’altro canto le borse, avuto lo scossone iniziale, sembrano rientrare nei loro andamenti normali seppur, come sempre, con frange speculative.

IL SOLE DOPO LA TEMPESTA

“Passata è la tempesta, odo augelli far festa”? Assolutamente no. La Francia sembra vivere male questa Brexit sia in ambito comunitario che in quello interno. Hollande è accusato di non avere nessun progetto per l’Unione Europea e nell’opinione della stragrande maggioranza dei francesi è in profonda crisi. Il Presidente vivacchia con slogan generici, come “l’Ue è oggi molto forte per poter dare le giuste risposte alla Brexit”, mentre le opinioni di 10 Paesi europei si scontrano, anche frontalmente con quelle dei 6 fondatori. Altro slogan: “Non si tratta di rifare l’Europa , di ricostruirla, ma solo di continuare a mettere mattoni su questo edificio”, in risposta al premier polacco che preconizzava un nuovo trattato europeo, diverso dall’attuale, ove poter recuperare anche la Gran Bretagna.

IL NUOVO (FINTO) ASSE A TRE

Molti Paesi dell’Unione si sono lamentati della trazione franco-tedesca e così la Merkel ha aggiunto Renzi a Hollande in una riunione convocata a Berlino, non a Bruxelles. C’è chi ha visto in questa nuova alleanza come una nuova dominazione tedesca, che usa gli altri Paesi, compresa la Francia, in funzione dei propri interessi. In tutto questo Hollande non svetta come un vero leader, capo della Francia e neppure del Lussemburgo. E poi l’unico punto vero di divergenza tra la Merkel e Hollande (che forse si era conquistato l’appoggio di Renzi) era sui tempi dell’inizio della Brexit: Merkel era per la “calma e gesso”, Hollande per il tutto e subito. Tesi quest’ultima che, con le ore, si è dimostrata quasi ingenua.

LE MOSSE RAPIDE (E INEFFICACI) DI HOLLANDE

C’è stato un referendum nel Regno Unito e sta al Governo inglese aprire le trattative per la Brexit, sempre che lo voglia fare, quindi urlargli addosso che lo faccia subito sembra mossa inefficace e prepotente. Non solo: la Germania ha forti interessi commerciali da difendere con la Gran Bretagna, che devono essere studiati, senza essere spinta a politiche provocatorie inutili. Ma Hollande non vuole che questa storia si trascini, per paura di effetti interni in Francia. Se si riesce a dimostrare che si può vivere anche senza Europa, gli euroscettici interni potrebbero portare una guerra politica con armi in più per la vittoria e il Presidente vuole subito tarpare le ali a questo disegno.

Marine Le Pen e il suo Fronte Nazionale, in fondo, non sono ormai quasi mai tacciati di “fascisti” (come capita molto spesso nella nostra cronaca politica, in questo senso un filino antiquata e primitiva), ma sono visti come nazionalisti e negli ultimi tempi, come nazionalisti europei. Attorno a queste posizioni si sono creati molti consensi istintivi più che ragionati, ma assai influenti sulle prossime elezioni presidenziali. Non a caso, con la Brexit, Hollande è restato solo a difendere la tesi di un rilancio di questa Europa: a “destra” e a “sinistra” si parla di “ricostruzione europea” su nuove basi (come d’altronde sostengono i governi dei 10: Polonia, Ungheria, Romania, Spagna, Grecia, Bulgaria, Slovenia, Slovacchia, Austria e… Regno Unito).

In conclusione in Francia la Brexit è ormai giocata come un problema politico interno, per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Tutto non sarà come prima; ma la palla dei francesi a Bruxelles probabilmente continuerà a rotolare con calma, al di là di ogni manifesto “rivoluzionario”, di uso comune per le questioni politiche e sociali del Paese (o della Nazione?).



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