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Perché dopo la Brexit il mercato immobiliare nel Regno Unito sta franando

La scorsa settimana, ho trascorso un paio di giorni in Germania. Qui, il Brexit è ancora al centro delle discussioni degli investitori che guardano con particolare preoccupazione alla capacità di resistenza del mercato immobiliare britannico dopo la chiusura di diversi fondi d’investimento nel settore real estate e all’incertezza sulle negoziazioni tra il Regno Unito e l’Unione Europea. In merito a quest’ultimo punto, credo che nel lungo termine il Regno Unito manterrà dei rapporti economici relativamente buoni con l’Europa. Tuttavia, al momento sono numerosi gli scenari possibili e ci vorrà ancora tempo prima che l’incertezza si riduca. Nel breve termine l’incertezza sarà alimentata anche dallo stress connesso al sistema bancario italiano e dal referendum costituzionale in Italia a ottobre.

Per quanto riguarda il settore immobiliare britannico, l’indice Pmi del settore edilizio nel Regno Unito ha raggiunto il suo minimo negli ultimi 7 anni, facendo registrare un valore pari a 46 rispetto ai 51,2 punti di maggio. Bisogna osservare attentamente questo settore durante la prossima settimana, sebbene i valori registrati dai più importanti indicatori potrebbero differire dagli hard data nel breve termine a causa dell’aumento dell’incertezza. In altre parole, le persone intervistate potrebbero aver reagito in maniera eccessiva (in un modo o nell’altro) e, quindi, preferiamo affidarci agli hard data che, sfortunatamente verranno pubblicati con un ritardo. La Bank of England farà qualsiasi cosa per facilitare l’accesso al credito anche se, come ho sottolineato la scorsa settimana, questa crisi è unica nel suo genere e diversa rispetto a quelle dei decenni precedenti: infatti, stiamo assistendo a uno stress politico ma non finanziario (almeno fino a questo momento, si veda il grafico sottostante). Per questo motivo, è difficile quantificare il downside dal lato della domanda di credito.

C’è una sola certezza economica: l’economia mondiale sta attraversando un nuovo periodo di deflazione proveniente dall’Europa, dove si sta attuando la “giapponificazione” del sistema bancario, rafforzato dalla recente svalutazione del renminbi. È importante notare che i mercati sono estremamente preoccupati dalla recente svalutazione dell’1,5 per cento contro il dollaro da inizio dell’anno, con un deprezzamento del 3,7 per cento da inizio aprile. Attualmente sembra che l’approccio graduale delle autorità cinesi provochi minori perturbazioni. Come disse Confucio, “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”.

In questo contesto, i rendimenti obbligazionari hanno subito una forte riduzione. Anche se potremmo assistere ad un aumento temporaneo dei rendimenti in determinati periodi, i tassi reali sono spinti al ribasso da un eccesso di offerta di risparmio a livello mondiale. Nei paesi sviluppati, il minor deficit fiscale e l’espansione dei bilanci delle banche centrali hanno ridotto l’offerta relativa di titoli di Stato mentre la domanda è stata sostenuta da livelli elevati di risparmio privato. Inoltre, dal momento che i tassi di risparmio sono molto più alti nei mercati emergenti rispetto ai paesi sviluppati e che il contributo dei primi all’economia globale sta aumentando, esiste un’ulteriore pressione rialzista sui risparmi a livello mondiale (e quindi pressioni ribassiste sui tassi d’interesse a lungo termine).

Tenuto conto della nostra view per cui il rischio di una recessione degli Stati Uniti dovrebbe aumentare significativamente alla fine del prossimo anno, i tassi obbligazionari a livello mondiale potrebbero ridursi ulteriormente (con i tassi americani a 10 anni che potrebbero raggiungere livelli inferiori allo 0,5 per cento nei prossimi due anni). Il flattening della curva dei tassi negli Stati Uniti è perciò inusuale in quanto deriva più da una riduzione dei tassi a lungo termine che da un aumento di quelli a breve. La Fed si trova, pertanto, di fronte a un dilemma: dal momento che sta prestando molta attenzione all’incertezza economica globale, fotografata dal calo dei tassi americani a 10 anni, potremmo assistere ad una situazione in cui la banca centrale statunitense non alzerà di molto i tassi di interesse prima della prossima recessione.

Le recenti statistiche per il mese di giugno suggeriscono che, prima del referendum britannico, l’economia statunitense era protagonista di un buon momentum. I sondaggi sull’Ism business hanno registrato un aumento superiore alle attese accompagnati da una crescita molto forte delle retribuzioni a giugno. Ci attendiamo che l’incertezza politica in Europa avrà un effetto marginale sull’attività economica americana. Tuttavia, questa view dovrebbe essere confermata solo dai dati pubblicati nei prossimi mesi con la conseguenza che la Fed potrebbe rimanere in modalità wait-and-see almeno per la maggior parte del terzo trimestre.

Un rialzo dei tassi nel corso del 2016 potrebbe essere ancora possibile, anche se questo dipenderà da una crescita del Pil superiore al 2 per cento, una crescita mensile delle retribuzioni di 100.000-150.000 in media, un aumento del tasso di inflazione core e condizioni finanziarie stabili. Plausibilmente, possiamo aspettarci che tutti queste condizioni si saranno verificate dopo il meeting di dicembre, in particolar modo nel caso in cui l’incertezza politica nel Regno Unito sarà diminuita. È probabile che la Yellen soffrirà di mal di testa nel prossimo anno!



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