Chiuso baracca e burattini, sono tornati a casa, ma dopo aver lasciato due pezzi da leggere con cura: le tradizionali “Conclusioni” del Consiglio europeo a 28 e la “Dichiarazione” dei 27 dopo il vertice informale del 29 giugno, cioè senza il Regno Unito, e con tanto di sedia vuota (“chaise vide”).
IL CONSIGLIO EUROPEO A 28
Il documento delle Conclusioni viene redatto in anticipo, e messo a punto in riunione solo per le parti su cui le posizioni non sono definite. Più o meno lo stesso nel formato, questa volta il testo è forse più leggibile e stringato. Si può notare la somiglianza e la coerenza con il più avanzato documento franco-tedesco, già nell’architettura. E’ diviso negli stessi tre capitoli: migrazioni e asilo, sviluppo e crescita, sicurezza. Vi si ritrovano anche alcuni punti dell’integrazione “più approfondita”, come la “guardia europea costiera e di frontiera”, i maggiori investimenti (EFSI) per la coesione e convergenza, l’area unica IVA, la Strategia globale in politica estera e di difesa – con i casi attuali, di Libia, EunavforMed Sophia e cooperazione con la Nato -. Isolata e laconica giace l’unica riga dedicata al gran tema del giorno, in cui si annota soltanto che “il primo ministro britannico ha informato il consiglio europeo sugli esiti del referendum nel Regno Unito”.
La lettura delle Conclusioni del Consiglio europeo è sempre istruttiva, per sole otto paginette alla volta. E’ un’abitudine per pochi e dovrebbe essere più diffusa, in diversi ambienti. L’agenda politica italiana sarebbe meno improvvisata nelle decisioni e nelle interrogazioni parlamentari, gli abbagli meno numerosi, in Parlamento ma anche nei comuni e nelle regioni.
IL CONSIGLIO EUROPEO A 27
Nella riunione informale del giorno seguente, 29 giugno, i 27 si sono espressi con una Dichiarazione comune, che fissa i principali paletti della Brexit. Si riconosce il diritto per il Regno Unito di attivare quando vuole l’art. 50, ma gli si dice di far presto. Anzi, fino alla fine del distacco la norma europea continuerà ad applicarsi verso e nel Regno Unito, con relativi diritti e doveri. Il messaggio politico è chiaro: più si ritarda e meno si rispetta la volontà popolare. Sullo sfondo, e nel non-detto, senza l’art. 50 c’è anche il rischio di un distacco “overnight”, certamente fattibile e rapido, ma con scossoni ancora privi di stime e ipotesi d’impatto. Per tutti è comunque chiaro che fino al 9 settembre l’art. 50 non sarà attivato.
Per il futuro, i 27 si augurano che il Regno Unito rimanga un partner molto vicino all’UE, ma si aspettano che anche il Regno Unito manifesti le sue intenzioni: in ogni caso si tratterà di un Paese terzo. E giusto per portare un po’ di luce nel confuso dibattito britannico, i 27 ricordano che il concetto stesso di Mercato unico contrasta con l’esito politico del referendum. Per entrarvi, si devono infatti accettare diritti e doveri, e dunque tutte le quattro libertà insieme (di movimento delle merci, servizi, capitali e anche delle persone), non solo le ciliegie che si preferiscono (cherry-picking).
V’è insoddisfazione diffusa per come vanno le cose sia livello europeo e – precisano i 27 – anche a livello nazionale, giusto per equilibrare la lettura politica della crisi. Tenuto conto dell’ottimo risultato di pace e prosperità in questi anni di integrazione, l’idea è di procedere unitariamente con decisioni più forti, perché gli Europei si aspettano maggiore sicurezza, lavoro e sviluppo. Occorre quindi una riflessione comune – s’intende per riformare l’Unione – con una prima tappa dei capi di Stato e di governo il 16 settembre, a Bratislava.
COS’ALTRO RICORDARE
Molti fatti andrebbero tenuti a mente di questi due-tre giorni, tra cui il ruolo veramente politico svolto dal Parlamento europeo. Ma limitiamoci a due principali fatti. Anzitutto, l’indirizzo unitario per le riforme a 27 riflette la temporanea desistenza del gruppo riunito sull’idea di un’unione “più stretta per chi ci sta”, indicata nel documento franco-tedesco. La dichiarazione del 28 giugno dei primi ministri in formato Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia) insisteva sull’accelerazione del progresso di integrazione per tutti i Paesi, e non per gruppi più piccoli. Il punto di partenza verso Bratislava è dunque l’unità: bisognerà vedere se nel cammino estivo davvero tutti saranno d’accordo sui tempi e sui singoli capitoli, oppure se si tratterà di semplice preoccupazione di restare in una serie “B”, o addirittura se prevarrà lo spirito nazionale che emerge a est da qualche tempo, con le relative conseguenze in tema di stabilità geopolitica.
In secondo luogo, si è registrata una netta assenza di solidarietà e di spirito europeo nel confronto tra l’Unione a 27 e il Regno Unito, salvo qualche accenno formale e limitati gesti sostanziali. Il duro confronto parlamentare, i modi unilaterali e non “solidali” sugli interessi comuni con cui Cameron ha ritardato l’attivazione dell’art.50 con la delega al suo successore, l’indebolimento per tutti nell’economia e nella sicurezza dovuta alla Brexit dipingono un quadro di confronto tra Stati in stile ottocentesco, sia pur ammodernato nei personaggi (da un lato il Regno Unito e dall’altra l’Unione europea).
Sempre in tema di confronto tra stati ottocenteschi, va ricordato che il 29 giugno, dopo il Consiglio europeo a 28, anche David Cameron ha istituito un ufficio per la Brexit, con un mandato abbastanza ampio, composto da una trentina di persone e guidato da Olly Robbins, un alto funzionario. Almeno ci sarà qualcuno che prepara un piano B anche per Londra.