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Campo santo senza campo

Passa il tempo, e anche se la rubrica del telefono e la lista di “amici” sui social non si svuotano, dietro tanti di quei numeri, dietro tante di quelle foto del profilo non c’è più nessuno.
La digitalizzazione crea un’illusione per tramite di aggiornamento, per tramite di notifica. Tutto automatico, tutto finto.
Passa il tempo e non hai il coraggio di rimuoverli quei numeri e quei profili. Stanno lì. È lo stesso meccanismo per cui, bambino, non guardavi i morti supini nel letto in mezzo a fiori, ceri e lumini. Non te li facevano toccare perché non ti rimanesse dentro quella sensazione di morte fredda e muta.
Poi, però, capita che da uno di quei numeri ti arrivi una telefonata. Qualche parente deve aver recuperato il telefono del defunto. Nel vedere comparire il numero sul display hai un improvviso moto interiore. Ti piglia lo stomaco. Dura pochissimo, giusto il tempo che la mente raffreddi tutto. Peccato.
A mente ancora più fredda però, quando la malinconia riscalda il cuore fatto pietra dai tempi veloci del quotidiano, pensi a quanto sarebbe stato bello se solo fosse stata vera quella telefonata dall’aldilà. Sono sempre troppe le cose che avremmo voluto dire a questo o a quello. Per costruire, almeno a parole, la fisicità di una carezza, di un bacio. Di un abbraccio. Tutte quelle cose che la morte si porta via. Nel campo santo senza campo.


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