oggi leggo, nel corsera, il grande giurista natalino irti sul rapporto tra antipolitica e tecnocrazia dopo il referendum del brexit (“sempre si tratta di una risposta ‘politica’, in cui entrano in gioco fedi religiose, ideologie, progetti economici, interessi ceto, emozioni collettive. non c’è una competenza tecnica, che determini i fini della collettività, e sia perciò legittimata a giudicare ‘erronea’ la decisione adottata. qui l’antitesi non è tra errore e verità scientifica, ma tra visioni diverse della società e della storia”). poi leggo la rubrica di umberto galimberti su d-repubblica (“l’agire’, come scelta dei fini a cui si rivolge l’etica, cede al ‘fare’ come produzione di risultati a cui si applica la tecnica. in questo senso la tecnica celebra l’impotenza dell’etica, la definitiva subordinazione dei ‘fini’ ai ‘mezzi’ che rendono possibili risultati fino a quel momento inimmaginabili. fuori da questo stringente ragionamento, a cui la tecnica ci obbliga, restano solo le chiacchiere, le implorazioni, le indignazioni e nient’altro”). sto per soccombere ma, su io-donna, scopro la recensione a “temporany mother. utero in affitto e mercato dei figli” di marina terragni a firma di paola tavella (“così terragni giudica un equivoco qualificare quella pro-surrogay come una opinione di libertà, quindi progressista. la libertà, scrive, non va scambiata con una sorta di ‘dirittissimo’, come se desiderare un figlio equivalesse al diritto di comprarlo e scavalcare a suon di dollari i veri diritti, quelli scritti nella dichiarazione dei diritti umani e dei fanciulli, terragni racconta le condizioni atroci in cui le fabbriche di bambini costringono le fattrici in nigeria, in india, in nepal, in ecuador, dove l’80 per cento di quelle che si prestano sono analfabete e non leggono il contratto”). allora anche io prego affinché ci sia concesso quel “cuore intelligente” che re salomone invocava dall’Altissimo.
Come leggere Irti, Galimberti, Terragni e invocare un cuore intelligente
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