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Tutte le contraddizioni dell’Arabia Saudita sull’Isis

Arabia Saudita

Di fronte al martirio di Padre Jacques per mano di due “soldati dello Stato Islamico”, come il Califfato li ha prontamente definiti, Papa Francesco ha ribadito la propria linea: c’è una guerra in atto – “terza guerra mondiale a pezzetti”, così l’aveva connotata in passato – ma non è una guerra di religione. Dal canto suo, l’imam di al-Azhar, la massima autorità religiosa del mondo sunnita, ha commentato la strage di Saint- Ètienne du Rouvray sostenendo che quello dell’Isis è un attacco ai valori islamici. Hassan Mneimneh, esperto di radicalismo islamico per conto del Middle East Institute di Washington, conversando con Formiche.net, spiega: “Lo Stato Islamico agisce in nome dell’Islam, per cui si può sostenere che le affermazioni di Papa Francesco e dell’imam di al Azhar sono corrette nel contestare questa interpretazione. Il pontefice non accetta la narrativa del Califfato, la grande autorità sunnita, dal canto suo, rigetta la pretesa dell’Isis di rappresentare l’Islam”.

Dopo il museo ebraico di Bruxelles, Charlie Hebdo e il Bataclan, è arrivato il momento di una chiesa di provincia. Dopo stazioni, aeroporti e feste patriottiche, un villaggio della Normandia rurale, a due passi da Rouen, la città del rogo di Giovanna d’Arco. Dopo la Francia laica, libertina e metropolitana, quella cattolica, profonda, descritta da Georges Bernanos. Con un elemento in più, la violazione di un edificio sacro, il quale, da precetti coranici, dovrebbe essere risparmiato, perché posto sotto la protezione di Dio. Del resto, anche in Medio Oriente l’Isis distrugge moschee e monasteri, per cancellare tutte le espressioni di religiosità considerate impure, perché lontane dall’Islam delle origini. “Lo Stato Islamico”, racconta Mneimneh, “afferma di fondare tutte le proprie direttive su principi islamici. Lo fa, però, rafforzando ed espandendo i comandamenti più duri, e minimizzando, se non rimuovendo, tutte le eccezioni e tutti i caveat. Dal suo punto di vista, si tratta di un’interpretazione accettabile del Corano, ma il peso dei precedenti storici va contro di lui. Quindi, in sostanza, si può dire che l’Isis non rispetti le regole di guerra islamiche, pur dichiarando che le sue direttive trovano radice nei testi sacri”.

Papa Francesco, nel suo rapporto col mondo musulmano, ha sempre evitato qualsiasi contrapposizione, preferendo un approccio ecumenico e puntando su un concetto sopra tutti, quello di “dialogo”. Questo non ha esentato i cattolici dall’essere un bersaglio del fanatismo islamista, anzi, secondo alcune interpretazioni, la narrativa papale ha reso la Chiesa cattolica ancora più odiosa agli occhi del Califfato. Hassan non concorda affatto con quest’ultima tesi: “Isis cerca e cercherà sempre bersagli che rappresentino un’opportunità e abbiano un certo impatto sull’opinione, per cui il fatto che Papa Francesco sia impegnato o meno in una strategia di dialogo non fa alcuna differenza. La spiegazione dei crimini dello Stato Islamico come vendetta per una determinata strategia politica è soltanto un esercizio post-fattuale”.

Anche i Paesi islamici sunniti, a partire dall’Arabia Saudita, hanno condannato l’assassinio di Padre Jacques. C’è però una contraddizione evidente nella postura dei Saud. Da una parte, combattono il radicalismo dell’Isis, che ha colpito più volte anche nella penisola (ad inizio luglio ci sono stati tre attentati, a Medina, a Gedda e a Qatif). Dall’altra, contribuiscono a diffondere in tutto il mondo il wahabismo e il salafismo, che rappresentano la basi ideologiche dello Stato Islamico. Spiega l’analista del Middle East Institute: “Il salafismo, che è il fondamento dello jihadismo radicale a livello di idee, deve assolutamente e necessariamente riconsiderare il proprio dogma. Purtroppo sembra incapace di farlo. L’Arabia Saudita ha vissuto nella situazione paradossale di dovere contenere il salafismo come radicalismo “docile”, e al tempo stesso riformarlo, senza incitare la dissidenza verso lo jihadismo. Sinora questa operazione evidentemente non ha avuto successo”.

La pericolosità del Califfato in Europa dipende soprattutto dall’imprevedibilità delle sue azioni, dal fatto che i suoi bersagli potenziali sono tantissimi, quindi impossibili da proteggere nella loro totalità, dall’assenza di un legame operativo tra chi conduce gli attentati e la casa madre di Raqqa. Il vincolo di affiliazione al Califfato, spesso proclamato alla vigilia o durante un attacco, è solo ideologico e ispirativo. Si tratta dei cosiddetti “lupi solitari”, molte volte radicalizzatisi in rete, che agiscono in autonomia. Solitari solo dal punto di vista operativo – quando non agiscono in sinergia con complici e/o compagni d’armi – perché comunque parte di una comunità ideologica radicale, virtuale e in alcuni casi reale. Secondo alcune interpretazioni, questa guerra molecolare scatenata in Europa sarebbe la reazione alle difficoltà militari che il Califfato sta incontrando in Medio Oriente (rispetto al giugno 2014, mese della sua proclamazione, ha perso il 40 per cento dei propri territori iracheni e il 20 per cento di quelli siriani, per non parlare dell’assedio che sta subendo nella principale roccaforte libica, Sirte).

Mneimneh fa una distinzione. “Probabilmente l’Isis sarebbe più prudente nell’incitare le azioni dei lupi solitari, se si trovasse ancora nell’illusione di mantenere un controllo territoriale in Medio Oriente. Ma in quanto entità predatoria, era destinato alla sconfitta, perché la sua espansione non era sostenibile, e in quanto ideologia radicale, senza compromessi, era destinata ad allargare la gamma dei propri attacchi. Quindi, in sostanza, si può dire che la strategia dei lupi solitari per lo Stato Islamico fosse inevitabile”.

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